venerdì 23 dicembre 2016

I dati sulla gestione dei rifiuti in Italia, Sicilia, provincia di Enna e Piazza Armerina.

L’ISPRA ha presentato alcuni giorni fa il Rapporto Rifiuti Urbani 2016. Ho dato un’occhiata per fare un quadro della situazione nazionale, regionale (Sicilia), provinciale (Enna) e comunale (Piazza Armerina). Ecco cosa ne è uscito fuori.

Italia

La fotografia scattata dall'Ispra mostra un calo nella produzione nazionale di rifiuti: 29,5 mln di tonnellate nel 2015, -0,4% rispetto al 2014. Nell’ultimo triennio, la produzione pro capite (cioè i kg di rifiuti urbani prodotti in un anno da ogni abitante) rimane sostanzialmente invariata, attestandosi, nel 2015, a 487 kg/abitante per anno. La contrazione più contenuta del dato pro capite rispetto a quello di produzione assoluta è dovuta a una contestuale decrescita della popolazione residente (-0,2% tra il 2014 e il 2015).



Lo smaltimento in discarica è diminuito del 16% ma interessa ancora il 26% dei rifiuti urbani. Il 18% dei rifiuti è invece avviato a recupero di materia della frazione organica e oltre il 26% al recupero delle altre frazioni merceologiche. Il 19% è incenerito, mentre circa il 2% è destinato a impianti produttivi, come cementifici e centrali termoelettriche, per essere utilizzato all'interno del ciclo produttivo e per produrre energia. Il 3%, infine, è inviato a ulteriori trattamenti quali la raffinazione per la produzione di CSS o la biostabilizzazione, mentre l'1% è esportato, principalmente verso Austria e Ungheria.

Cresce la quota di raccolta differenziata, che si attesta al 47,5% della produzione, +2,3% sul 2014.



L’analisi dei dati mostra anche che l’incenerimento non sembra determinare un disincentivo alla raccolta differenziata, come risulta evidente per alcune regioni quali Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Campania e Sardegna. In queste regioni, infatti, a fronte di percentuali di incenerimento pari rispettivamente al 45%, 22%, al 33%, 28% ed al 21% del totale dei rifiuti prodotti, la raccolta differenziata raggiunge valori elevati (rispettivamente del 59%, 63%, 57%, 48%, 56%). 

Segnalo comunque che la direttiva 2008/98/CE non prevede obiettivi di raccolta differenziata ma fissa specifici target per la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di specifici flussi di rifiuti, quali i rifiuti urbani e i rifiuti da attività di costruzione e demolizione.
Infatti Raccolta differenziata e riciclaggio non sono affatto la stessa cosa: la prima è un sistema di gestione/raccolta dei rifiuti, il secondo è invece un sistema di smaltimento vero e proprio dei rifiuti. Nel 2015, ad esempio, a fronte di una percentuale di raccolta differenziata del 47,5%, si è avuta una percentuale di riciclaggio del 44%.

Dati negativi riguardano il costo medio pro capite dei servizi di igiene urbana, che sale a 167,97 euro/anno nel 2015, +1,7% sull'anno precedente.



Regione Sicilia 

In Sicilia nel 2015 sono stati prodotti totale 2.350.191 tonnellate, valore praticamente stabile rispetto al 2014. Quindi la Sicilia produce circa l’8% dei rifiuti urbani nazionali. La produzione pro-capite è di 463 kg/ab*anno, quindi un valore più basso di circa il 5% rispetto alla media nazionale, e minore di quasi il 30% rispetto all’Emilia Romagna, che è la regione con il valore di produzione pro-capite più alto di tutta Italia (642 kg/ab*anno). 

L’83% dei rifiuti è ancora smaltito in discarica (nel 2013 era il 93%), contro il 5% della Lombardia. La Sicilia inoltre continua ad essere il fanalino di coda italiano per le percentuali di Raccolta Differenziata: 12,8% nel 2015, con un progresso praticamente nullo dal 12,5 % del 2014. La Calabria, che è la penultima regione in classifica, ha una percentuale di raccolta differenziata di circa il doppio. 

L’ISPRA segnala che “In alcune regioni come Lazio, Campania, Sicilia, lo scarso sviluppo impiantistico delle infrastrutture deputate al trattamento della frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata rappresenta un elemento che sta fortemente condizionando l’attuazione di un ciclo di gestione corretto.”


Provincia di Enna

Nella provincia di Enna, nel 2015 sono state prodotte 60.913 tonnellate di RU, in calo di circa il 3% rispetto al 2014. La provincia di Enna è la provincia siciliana con la più bassa produzione totale di rifiuti urbani.

La percentuale di raccolta differenziata nella provincia di Enna è, ahimè, tra le più basse d’Italia: 10,8% nel 2015. Tale dato va però un po’ contestualizzato, segnalando che si è avuto un incremento di quasi 5 punti percentuali in un solo anno (nel 2014 la percentuale era infatti del 6,1%): nel 2014 la provincia di Enna era ultima in Sicilia (e in tutta Italia!!), invece nel 2015 è “salita” al 6° posto su 9 province.


Piazza Armerina

A Piazza Armerina da circa due anni è iniziata la raccolta differenziata, arrivando ad un percentuale del 56%, secondo gli ultimi dati (non ISPRA). Guardando i dati della figura soprastante, ci accorgiamo come nel nostro paese abbiamo raggiunto livelli pari a quelli di regioni virtuose come Emilia Romagna, Sardegna e Piemonte. Va inoltre segnalata la bella realtà dell’Ecopunto, che ha ricevuto menzioni particolari anche a livello nazionale. 

Ciononostante, non vanno dimenticate le tante inciviltà che ogni giorno vediamo accadere sulle nostre strade, e davanti alle quali dovremmo forse alzare un po’ più la voce facendo rispettare le regole, piuttosto che girarci dall’altra parte. 


In conclusione, per la Sicilia la situazione è tutt’altro che rosea, anche se alcuni buoni segnali ci sono (come nel caso di Piazza Armerina) ma il lavoro da fare è ancora tantissimo e a tutti i livelli: culturale, politico e tecnologico. Quindi…Buon lavoro a tutti!!

venerdì 2 dicembre 2016

I du v'cchiareddi

Pi strata visti du v'cchiareddi,
maritu e mugghieri.
Passiav'nu piano piano
'n menzu i genti,
ca comu sempri curriv'nu svelti.
Idda faciva pass'teddi p'cciddi
e str'ngiva u brazz' d so' marì,
e accussì avanzav'nu,
tutt'i'dui iutann's c'u bastun.

Mi firmaiu p' taliarli:
'n menzu a lu sciumi
ca scurriva di genti
iddi camminav'nu lenti lenti,
a pass'teddi nichi,
comu ni n'autra dimensioni,
ma annav'nu comunque avanti.
V'sgini v'sgini,
c'u brazzu da mugghieri
strittu forti
'a chiddu do maritu.

E p'nzai:
chissa è la vera forza,
chissu è lu veru Amuri.



giovedì 29 settembre 2016

Il Ministro dell'ambiente Galletti al Senato sul tema dei rifiuti in Sicilia

Qualche giorno fa il Ministro Galletti è stato ascoltato dalla XIII Commissione in Senato riguardo il tema della gestione dei rifiuti a Roma, in Sicilia e in Puglia.

Di seguito riporto la parte riguardante la Regione Sicilia, poichè mi sembra utile per capire e tenersi informati su una vicenda che riguarda tutti noi.

Buona lettura.

GESTIONE DEI RIFIUTI NELLA REGIONE SICILIANA

Produzione dei rifiuti urbani a livello regionale e raccolta differenziata.

La produzione dei rifiuti in Sicilia ammonta per l’anno 2014 a 2.342.219 tonnellate. Tale quantità corrisponde ad una produzione pro capite pari a circa 462 kg/abitante anno. La produzione dei rifiuti in Sicilia è diminuita dal 2010 al 2014 del 10,3%. Tale andamento riflette quello della produzione a livello nazionale, correlato al trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie.

La raccolta differenziata nella Regione Siciliana nel 2014 ammontava a 292.972 tonnellate. Tale quantità rappresenta solo il 12,5 % del totale dei rifiuti prodotti, valore molto al di sotto dell’obbligo di legge del 65%.

Nel 2014, in controtendenza rispetto al resto del territorio nazionale, la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato si è ridotta di oltre un punto percentuale, al 12,5% dal 13,2% dell’anno precedente.


Rifiuti differenziati

Le quantità raccolte in maniera differenziata nel 2014 sono pari complessivamente a 292.972 tonnellate di cui 125.829 sono costituite da frazione organica e 167.143 da frazione secca riciclabile.

La frazione secca viene conferita alle piattaforme Conai e quindi riciclata o recuperata al netto degli scarti.

In molti Comuni del territorio regionale la raccolta differenziata non viene ancora realizzata.

Rifiuti indifferenziati

Le quantità di rifiuto indifferenziato prodotte nel 2014 ammontano a 2.049.247 tonnellate. Questi rappresentano una quota pari all’89 % dei rifiuti urbani prodotti in Regione.

Di tali quantità solo 349.774 tonnellate sono state inviate, secondo modalità ordinarie, agli impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB) prima di essere inviate al successivo smaltimento.

La restante quota, pari a 1.003.302 tonnellate, è stata quindi smaltita in deroga alle prescrizioni, ricorrendo a forme speciali di gestione dei rifiuti attraverso Ordinanze del Presidente della Regione ai sensi dell’articolo 191 del d.lgs. n. 152 del 2006.

Assetto impiantistico regionale

La frazione umida raccolta in modo separato è conferita nei 15 impianti di compostaggio presenti sul territorio, molti dei quali risultano non operativi per mancanza di materiale da trattare. 

Tali impianti, sebbene presentino nominalmente una potenzialità complessiva autorizzata pari a 416.967 tonnellate annue, hanno trattato nel 2014 una quantità di rifiuti pari a circa 160.000 tonnellate.

Appare evidente che gli stessi siano sottoutilizzati e che l’attuale capacità installata potrebbe far fronte ad un flusso maggiore di frazione organica derivante da un auspicato incremento della raccolta differenziata. La capacità autorizzata degli impianti di compostaggio garantisce l’autosufficienza regionale anche al raggiungimento del 30% di raccolta differenziata.

Inoltre, la Regione prevede di realizzare ulteriori impianti di compostaggio per garantire il corretto trattamento della frazione organica anche al crescere della raccolta differenziata.

La gestione del rifiuto indifferenziato, solo a seguito dell’emissione dell’Ordinanza n. 5 del 2016, emanata previo rilascio dell’Intesa ai sensi dell’articolo 191 (comma 4) del Codice dell’Ambiente, avviene secondo quanto prescritto dalla medesima Ordinanza garantendo un pre-trattamento al rifiuto conferito in discarica. Ciò grazie all’installazione di impianti mobili di biostabilizzazione che, nelle more della realizzazione dei TMB previsti dalla pianificazione regionale, operano il pretrattamento del rifiuto. Al riguardo, si precisa comunque che in alcune aree vi sono degli approfondimenti tecnici in corso da parte delle autorità territoriali competenti, per verificare se vi è stato il pieno adeguamento rispetto alle previsioni della citata Ordinanza.

Gli impianti mobili rappresentano una soluzione tampone e provvisoria per garantire la corretta gestione del rifiuto fino al completamento della realizzazione degli impianti, dell’attivazione dei provvedimenti necessari per l’invio fuori Regione del rifiuto.

La Regione, nel contempo, sta provvedendo alla realizzazione e messa in esercizio degli impianti di TMB necessari al trattamento di tutti i rifiuti indifferenziati prodotti in Regione, in particolare presso le piattaforme integrate pubbliche di Enna, Gela e Messina, nonché presso la piattaforma privata sita a Siculiana.

Lo smaltimento dei rifiuti avviene esclusivamente tramite conferimento in discarica.

La capacità residua di trattamento in discarica, agli attuali livelli di smaltimento, garantisce l’autonomia regionale solo per 6 mesi e l’assenza di impianti di termovalorizzazione rende ancora più critica la situazione. Lo schema di decreto di cui all’art. 35 dello “sblocca Italia” ha individuato, per la Regione Siciliana, fabbisogni residui di incenerimento molto rilevanti (circa 700.000 t).

Stato attuale della pianificazione territoriale.

L’attuale piano regionale per la gestione dei rifiuti è stato predisposto dal Presidente della Regione Siciliana, nominato pro tempore Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti in Sicilia. Tale piano è stato approvato con Decreto del Ministero dell’ambiente nel mese di luglio 2012, previo parere vincolante del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio. Con specifica prescrizione si è disposto che “Il Piano regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia dovrà essere sottoposto alle previste procedure di Valutazione Ambientale Strategica (VAS)”.

Nel mese di gennaio 2014, il Dipartimento regionale dell’acqua e dei rifiuti della Regione Siciliana ha avviato la fase preliminare della VAS, procedura che si è conclusa con l’emanazione del Decreto da parte del Ministero dell’ambiente nel mese di maggio 2015. La Regione, a seguito anche della diffida del Presidente del Consiglio dei Ministri del mese di agosto 2015, ha approvato, con propria delibera (n. 2 del 18 gennaio 2016) il Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani in Sicilia.

Il Piano approvato fa solo riferimento alla gestione dei rifiuti urbani, demandando ad altro documento quella dei rifiuti speciali.

Con la già richiamata Ordinanza n. 5 del 2016, il Presidente della Regione ha  disposto l’aggiornamento del Piano regionale, anche alla luce dell’emanando  DPCM  ai sensi dell’articolo 35, comma 1, del decreto legge n. 133 del 2014 che contiene la ricognizione del fabbisogno di impianti di incenerimento di rifiuti a livello nazionale. In tale DPCM è prevista la realizzazione in Sicilia di una capacità complessiva di 700.000 tonnellate di incenerimento. L’Ordinanza stabilisce che l’approvazione del nuovo Piano possa avvenire con tempi ridotti rispetto a quelli previsti dal Codice dell’Ambiente, in modo da arrivare alla realizzazione di tutta l’impiantistica necessaria. 

Stato emergenziale e Ordinanze contingibili ed urgenti ex art. 191 del d.lgs. n. 152 del 2006.

Per quanto riguarda la gestione dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Siciliana, si fa presente che a partire dall’anno 2009 fino al 2014  tale gestione è stata caratterizzata da uno stato emergenziale, anno in cui è stata adottata una nuova ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione civile per favorire e regolare il subentro della Regione Siciliana nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità in regime ordinario. Tuttavia, occorre segnalare  che il 2014 e il 2015 sono stati di fatto contraddistinti da un  regime straordinario autorizzato mediante ordinanze ai sensi dell’articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 da Presidente della Regione Siciliana.[3]

Tanto premesso, si va ad illustrare il percorso seguito dalla Regione Siciliana nel 2016 nell’ambito della gestione dei rifiuti.

Nello specifico, il 23 marzo 2016 il Presidente delle Regione Siciliana, con propria nota indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha richiesto lo stato di emergenza nel sistema di gestione dei rifiuti vista la scadenza dei termini di reitero dell’Ordinanza (emessa ai sensi dell’articolo 191 del d.lgs. n. 152/2006, il 31 maggio 2016).

A seguito di tale richiesta e all’esito della riunione tenutasi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Protezione Civile, si è verificata la non sussistenza delle condizioni per l’attivazione dei poteri straordinari ai sensi della Legge n. 225 del 1992. Per il caso di specie si è ritenuto, quindi, più opportuno il ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti ex art. 191 del Codice ambientale.

Con nota del 5 maggio, il Presidente della Regione ha nuovamente evidenziato la situazione di emergenza del settore rifiuti alla quale sarebbe andata incontro la Regione qualora non avesse potuto reiterare gli effetti dell’Ordinanza. Senza le misure straordinarie contenute in quest’ultimo atto, circa 3.000 tonnellate, delle 6.000 tonnellate di rifiuti prodotti al giorno, non avrebbero trovato impianti di smaltimento disponibili in Regione.

Alla luce di ciò, il Ministero dell’ambiente, con nota del 31 maggio 2016, ha inviato alla Regione le prescrizioni tecniche che necessariamente doveva contenere l’Ordinanza per aspirare al rilascio dell’Intesa ai sensi dell’art. 191, comma 4 del Codice dell’Ambiente, nonché le condizione che avrebbero necessariamente dovuto essere adempiute per il permanere della medesima.

Le prescrizioni contenute nella nota non solo stabilivano le condizioni tecniche per le quali sarebbe stato possibile il reitero dell’ordinanza ma chiedevano anche alla Regione un impegno concreto al riassetto della governance regionale, tenendo conto anche delle diffide della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 7 agosto 2015, nelle quali veniva richiesto alla Regione di procedere immediatamente alla riperimetrazione delle ATO.

In data 7 giugno 2016, il Ministero dell’ambiente ha concesso l’Intesa ai sensi del citato comma 4, dell’art. 191, sull’Ordinanza n. 5 del 7 giugno 2016 del Presidente della Regione. Nell’Ordinanza sono contenute le misure straordinarie per la gestione dei rifiuti, conformemente alle prescrizioni Ministeriali, nel rispetto della normativa comunitaria, ed un fitto programma di impegni ed azioni che la Regione è chiamata a mettere in atto nei 6 mesi di validità del provvedimento. Eventuali inadempienze determinano il venir meno dell’Intesa.

Le prescrizioni contenute nella nota ministeriale del 31 maggio 2016 si possono suddividere in tre categorie. Alla prima categoria appartengono gli adempimenti di ordine generale, volti alla necessaria riorganizzazione del sistema regionale di gestione dei rifiuti. Alla seconda categoria appartengono le prescrizioni necessarie a dare impulso alla raccolta differenziata. Infine, alla terza categoria appartengono le prescrizioni per il corretto pretrattamento dei rifiuti indifferenziati e il loro smaltimento in coerenza con le previsioni normative europee.

Le principali azioni che la Regione deve mettere in atto sono:


  • approvazione del disegno di legge di riorganizzazione delle governance regionale in giunta regionale e successiva approvazione della Legge dall’ARS;
  • presentazione di un programma di azioni per l’immediata realizzazione della rete impiantistica in grado di trattare i rifiuti prodotti in Regione nel rispetto della normativa europea;
  • aggiornamento del Piano di gestione dei rifiuti per adeguarlo alle prescrizioni dell’emanando DPCM, redatto ai sensi dell’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014;
  • attivazione della raccolta differenziata in tutti i Comuni della Regione ed in particolare nelle aree metropolitane, con l’obiettivo di incrementare la raccolta differenziata di un punto percentuale al mese;
  • attivare le misure necessarie al corretto pretrattamento dei rifiuti indifferenziati prima del loro invio allo smaltimento;
  • stipula di accordi regionali per lo smaltimento/recupero dei rifiuti in altre regioni;
  • procedure di gara internazionali per lo smaltimento/recupero dei rifiuti in altri stati membri o in altre Regioni.

Il monitoraggio delle azioni e la verifica del rispetto della tempistica contenuta nelle disposizioni della predetta Ordinanza n.5 del 2016 sono svolti dalla Direzione Generale del Ministero dell’ambiente per i rifiuti e l’inquinamento (RIN) con il supporto dell’ANAC. La verifica intermedia dei risultati è stata fissata al 15 settembre 2016. Allo stato si è ancora in attesa di conoscere l’avviso dell’ANAC.

Dalle risultanze della Direzione Generale competente, ad oggi, risulta quanto segue.

Dall’attuazione dell’Ordinanza 5 del 2016 sono derivati i seguenti effetti positivi, che meritano di essere valorizzati:

a) pretrattamento del rifiuto prima dello smaltimento in discarica, grazie alla installazione degli impianti mobili, fermo restando quanto già detto in merito ad approfondimenti tecnici in corso in alcune aree della Regione;
b) adozione di un crono-programma concreto degli interventi necessari al rientro ad un regime ordinario di gestione dei rifiuti;
c) attivazione di un Ufficio per il coordinamento delle attività sulla raccolta differenziata;
d) approvazione in Giunta, e presentazione all’Assemblea Regionale siciliana, di un disegno di legge che provvede alla riorganizzazione della governance regionale nel settore, in conformità ai principi posti dalla legislazione statale;
e) presentazione di una proposta di aggiornamento del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Urbani, in conformità ai contenuti dell’emanando  DPCM  ai sensi dell’articolo 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014;
f) avvio dei lavori per la realizzazione delle piattaforme integrate di Enna e Gela;
g) avvio dei procedimenti di rilascio delle autorizzazioni e di modifica delle stesse per la realizzazione di nuove capacità per il trattamento dei rifiuti.

Tuttavia, complessivamente, le attività poste in essere dalla Regione non hanno ottemperato del tutto agli impegni assunti con l’Ordinanza n.5 del 2016. Tali risultanze, ad ogni modo, non possono considerarsi definitive stante l’istruttoria ancora in corso.

In particolare, sulla raccolta differenziata non sono stati raggiunti gli obiettivi previsti. La Regione, infatti, non ha messo in campo tutte le azioni di potenziamento della raccolta differenziata. Inoltre, pur avendo richiesto la disponibilità alle altre Regioni d’Italia, la Regione Siciliana non ha poi stipulato gli accordi per l’invio fuori dal suo territorio dei rifiuti. Né, tantomeno, ha avviato le procedure per lo smaltimento in altri impianti nazionali o esteri dei rifiuti prodotti in Regione.

In considerazione di ciò, la situazione esistente nella Regione Siciliana continua a necessitare di misure straordinarie, nonostante l’attività posta in essere dall’Amministrazione regionale abbia consentito di tamponare gli aspetti più gravi della situazione emergenziale.

All’esito dell’istruttoria, che dovrà tener conto delle valutazioni dell’Autorità Anticorruzione, si valuterà se reiterare tali poteri e con quali strumenti eventualmente farlo.

Procedure di infrazione

La Commissione europea ha aperto uno specifico progetto pilota (EU pilot 6582/14) sulla gestione dei rifiuti in Sicilia e sul mancato rispetto delle procedure di VIA e VAS nella fase di adozione del Piano di gestione dei rifiuti urbani nonché per la mancata realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti previsti dal Piano stesso.

Peraltro, occorre segnalare che il Servizio competente della Commissione europea ha archiviato il caso indicato con le seguenti precisazioni: “La Commissione ha deciso di chiudere questa investigazione EU-Pilot, in quanto la procedura di VAS è stata espletata a posteriori per quanto riguarda il piano di gestione dei rifiuti. Tuttavia, poiché la Commissione ha delle perplessità in merito al sistema  di gestione dei rifiuti nella Regione Siciliana, essa si riserva di esaminare in seguito il contenuto del Piano di gestione dei rifiuti”.

È invece in corso un altro contenzioso con la Commissione europea (EU pilot 7043/14) che riguarda i Piani di gestione dei rifiuti di molte Regioni e, nello specifico, anche il Piano di gestione dei rifiuti speciali della Regione Siciliana. La Regione è stata quindi più volte sollecitata a provvedere all’aggiornamento del Piano dei rifiuti speciali. Tuttavia sembra essere ancora molto indietro nella predisposizione dello stesso.

La Regione è, inoltre, inserita nella procedura di infrazione “Discariche abusive” con 10 discariche (di cui 1 ricadente in un SIN e 1 sita nel Comune di Racalmuto). L’Amministrazione regionale ha inviato certificazione di conclusione del procedimento ambientale, che è stato peraltro inoltrato in data 31 maggio scorso ai servizi tecnici della Commissione Europea per lo stralcio del pagamento della sanzione semestrale.

I Comuni e la Regione sono stati destinatari, nello scorso dicembre, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione in parola. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.


venerdì 15 luglio 2016

Acerra, inquina più il traffico che il termovalorizzatore


Qual è l'impatto del termovalorizzatore di Acerra sulla qualità dell'area nel comune campano e nell'intera regione? "Molto contenuto" e "ampiamente inferiore ai limiti di legge" secondo lo studio presentato dall'Istituto sistemi agricoli e forestali mediterranei del Cnr.

Nel dettaglio, l'indagine su macroinquinanti (NOx, CO, SO2, PM10, PM2.5) e microinquinanti (Ipa, metalli e diossine) rileva che le emissioni da traffico rappresentano "il fattore di maggior pressione", in particolare a sud di Acerra, nell'area metropolitana di Napoli e in corrispondenza della rete stradale. "Importanti" anche gli impatti di riscaldamento, porto del capoluogo campano e di alcune industrie, mentre è "molto contenuto" il contributo del termovalorizzatore.

Secondo i dati elaborati dal Cnr, per il biossido di azoto l'impatto massimo dell'impianto di Acerra è inferiore allo 0,75% del valore limite. Per il particolato le concentrazioni dovute al termovalorizzatore sono "ovunque inferiori" allo 0,1% del valore limite. Per i microinquinanti, nel punto di massima ricaduta dell'intera zona esaminata, l'infrastruttura contribuisce per meno dello 0,2% rispetto ai valori limite per i metalli. Per gli Ipa l'effetto del termovalorizzatore è di 1.000 volte inferiore al limite riferito al "benzo-a-pirene". Per le diossine, infine, la struttura di Acerra ha un impatto 100.000 volte al di sotto del valore guida suggerito dall'Oms.

L'evento di presentazione dello studio, organizzato da Aris e Nimby Forum, è stato chiuso dal ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti, intervenuto sulla situazione dei rifiuti a Roma, che ha "discariche sature e tra un po' avrà un problema evidente di smaltimento rifiuti". Dato ciò "sono pronto a incontrare il sindaco Raggi, le porte sono aperte".

Il ministro è tornato anche sul piano termovalorizzatori predisposto dal Governo in applicazione dell'art. 35 dello "sblocca Italia", ribadendo che il problema non sono questi impianti, "come dimostrano i dati del Cnr", ma i tassi di raccolta differenziata e conferimento in discarica: nel primo caso c'è "poca sensibilità di alcuni sindaci, che devono svegliarsi", nel secondo Galletti ha detto di non voler "girare l'Italia per risolvere i problemi dei governatori che non vogliono fare i termovalorizzatori".

mercoledì 13 aprile 2016

Fotovoltaico in Italia: per "quelli che..."

Domanda per tutti quelli che: “in Italia siamo ancora fermi alle fonti fossili, all’estero sono molto più avanti di noi”, ma anche per quelli che “io sono per le energie rinnovabili” e poi non sanno un fico secco della situazione italiana: 

qual è la nazione al mondo con la massima percentuale di energia elettrica fotovoltaica rispetto al proprio consumo elettrico totale? Risposta: l’ITALIA.
Si, l’ITALIA, quella in cui sei nato, quella che pensi sia l’ultima al mondo in qualsiasi cosa (tranne il calcio, forse).

Da poco è stato pubblicato lo “Snapshot of global photovoltaic markets” della IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia, organo dell’OCSE): tra i dati riportati, c’è la classifica della percentuale di penetrazione del fotovoltaico sulla domanda di elettricità nazionale al 2015. L’Italia è al primo posto al MONDO, con dietro Grecia, Germania e tutti gli altri (Giappone al 5°, USA al 25° posto). 
La classifica è basata sulla stima della capacità di produzione teorica: nel caso dell’Italia comunque cambia poco, visto che abbiamo una producibilità teorica dell’8% ed effettiva che nel 2015 dovrebbe essere intorno al 7,5 % (in attesa dei dati di Terna).

L’Italia (sì, sempre Lei, quella con la bandiera tricolore, ecc. ecc.) è anche la 2° al mondo per potenza fotovoltaica installata procapite, cioè per ogni italiano (anche per “quelli che…”) ci sono 308 W di potenza fotovoltaica installata.

Infine, per chi ancora non ne avesse abbastanza, la nostra piccola Italia è al 5° posto mondiale per capacità fotovoltaica (FV) installata.
Ciò non significa che il FV debba essere fermato in Italia, si può continuare con una crescita di tale fonte, ma certo non con le modalità esplosive ed estremamente dispendiose degli anni passati.

Il rapporto evidenzia i mercati attualmente più importanti, in termini di nuova capacità FV installata nel 2015: Cina, Giappone e USA. In totale, si stima che sulla Terra attualmente dovrebbe esserci una capacità FV installata totale di 227 GW. Per dare un ordine di grandezza, la potenza elettrica totale netta installata in Italia al 2014 è di circa 122 GW (tutte le fonti energetiche).

A seguire riporto una infografica che riassume i dati presentati nel rapporto.

Per concludere, sottolineo che il bisogno di informazione VERA è fortissimo, oggi su questi temi c’è moltissima strumentalizzazione. Quindi, la prossima volta che sentirete qualcuno dire i soliti luoghi comuni e le solite cavolate su questi temi, fate un’opera di informazione ed indicategli (cortesemente, mi raccomando...) il link a questo articolo.


martedì 22 marzo 2016

Il rapporto-fuffa di Greenpeace sulle piattaforme offshore

Il 17 aprile ci sarà il referendum sull’abrogazione del prolungamento (fino a esaurimento del giacimento) delle concessioni per la attuali attività estrattive offshore ad una distanza dalla costa minore di 12 miglia.
Non lo riconoscete? Vi siete persi già al passaggio “abrogazione del prolungamento”?

Forse perché qualcuno ve lo ha presentato come “referendum-trivelle”, “referendum no-triv”, o altre folcloristiche trovate. Ma in effetti, quello scritto all’inizio è il nome più appropriato, che è sempre meglio della denominazione ufficiale utilizzata dallo stesso comitato promotore: “Divieto di attività prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita utile del giacimento”

Ma lasciamo stare le questioni di comunicazione (che sono comunque tutt’altro che secondarie) e passiamo invece a qualcosa di più concreto: Greenpeace ha pubblicato un “rapporto” (non si offenda troppo chi i rapporti li fa per davvero) in cui pretende di dimostrare la pericolosità delle piattaforme, utilizzando dati ISPRA che dicono praticamente l’opposto. In che modo? Vi faccio un esempio:

Mi trovo in Finlandia in inverno e, dopo aver misurato la quantità di neve caduta, la confronto con il mio valore di riferimento, cioè la neve caduta in inverno in Sicilia: deduco in maniera convinta che la Finlandia ha un problema di nevicate eccessive, perché il livello di neve in Sicilia è molto minore. Qualcosa non quadra, vero?

Beh, più o meno è questo quello che ha fatto Greenpeace: confrontare concentrazioni relative a campioni di acque che si trovano a distanze tra i 6 e 30 km dalla costa con dei valori limite di concentrazione che valgono invece fino a meno di 2 km dalla costa. E’ abbastanza prevedibile che, più ci si avvicina alla costa, più i valori limite si abbassano, perché aumentano gli organismi viventi esposti e le possibili contaminazioni.

Ma vediamo di capire più nel dettaglio.

Greenpeace si è fatta dare dei dati da ISPRA, riguardo ai piani di monitoraggio ambientale obbligatori che vengono svolte nelle piattaforme offshore, e con questi dati ha tirato fuori un “rapporto” quantomeno discutibile. Prima nota stonata: i dati ricevuti da ISPRA che Greenpeace ha orgogliosamente ottenuto, non sono resi pubblici sul sito di Greenpeace stessa! Alla faccia della trasparenza.
Nel rapporto, sono stati confrontati i valori di concentrazione nei sedimenti in corrispondenza delle piattaforme (a distanze minime di 6 km dalla costa) con i valori limite di concentrazione (SQA) fissati per le acque fino a circa 1,6 km dalla costa (1 miglio), dette acque costiere-marine, definite alla lettera c) dell’art.74 del Testo Unico Ambientale (DL 152/06).

I risultati del confronto hanno quindi significatività pressoché nulla.

L’unico valore limite che è stato considerato correttamente è quello relativo al benzene nell’acqua (non nei sedimenti), ed indovinate un po’? Loro stessi ammettono che in questo caso non ci sono mai stati superamenti del limite!

Ecco i riferimenti utili per verificare voi stessi quanto detto in questo articolo:
  • Definizione di acque marino-costiere: lettera c) dell’art.74 del Testo Unico Ambientale (DL 152/06);
  • Standard di Qualità Ambientale (SQA) per sedimenti in acque marino-costiere: DM 56/09 e 260/10, tabelle 2/A e 1/B;
  • SQA per il Benzene valevole anche per le acque territoriali, cioè al di là delle marino-costiere: DM 56/09 e 260/10, tabella 1/A.

Che dire di più? La scienza è una cosa seria, l’ambiente è una cosa seria.

Invece prendere in giro la gente non è affatto serio nè rispettabile.


venerdì 26 febbraio 2016

Il puzzle del sistema elettrico tra rinnovabili, reti, costi e CO2

Per raggiungere la famosa decarbonizzazione del settore energetico e, più in generale, dell’economia di un Paese, le infrastrutture elettriche di rete sono fondamentali. Infatti, l’integrazione nel sistema delle fonti rinnovabili, e soprattutto della produzione da fonti rinnovabili non programmabili (come il sole e il vento), ha necessariamente bisogno di adeguate infrastrutture di rete. Ciò al fine di permettere l’ottimale sfruttamento della produzione elettrica da tali fonti ed evitare sprechi dovuti a insufficiente (o inesistente) magliatura di rete. Una rete magliata e sviluppata in maniera ottimale potrebbe anche rendere meno necessario il ricorso ai costosi (per ora) sistemi di storage.
I precedenti concetti sono piuttosto noti, e si adattano perfettamente a famose situazioni italiane, come il “famoso caso del Sorgente-Rizziconi”, ovvero il raddoppio del cavo di collegamento tra Sicilia e Calabria, che permetterebbe di sfruttare molto meglio la produzione rinnovabile (e non solo) sia in Sicilia che in tutto il Sud Italia. Ma questa è un’altra storia.
Come si diceva, per decarbonizzare il settore energetico, ovviamente si può ricorrere alla produzione di energia da fonti rinnovabili: tal energia (soprattutto l’energia solare ed eolica) ha però costi di produzione (Levelised Cost Of Electricity - LCOE), in generale, maggiori dell’energia prodotta da fonti fossili tradizionali. Ciò è dovuto in parte al basso capacity factor di questo tipo di tecnologie (soprattutto se gli impianti sono ubicati in maniera sub-ottimale). Per chi se lo stesse chiedendo, il capacity factor è il rapporto tra la produzione annua effettiva e la produzione teorica ottenibile se l’impianto lavorasse ogni ora dell’anno al massimo della sua capacità. Non sfugga il dettaglio che tale capacity factor è basso anche a causa di una scelta non ottimale della localizzazione dell’impianto (ad esempio perché la scelta dell’ubicazione è fatta in funzione della rete di trasmissione esistente). Incrementando l’utilizzo di tecnologie con alti costi di produzione, aumenterebbero di conseguenza i costi generali di tutto il sistema elettrico.
Ricapitoliamo i pezzi del puzzle: energia solare, energia eolica, localizzazione degli impianti, capacity factor, costi di produzione, costi di sistema, infrastrutture di rete. Il problema è ricomporre questo puzzle trovando la soluzione ottimale, cioè tale da massimizzare la produzione da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) e contemporaneamente minimizzare i costi di sistema. Questo è quello che ha provato a fare un team di ricercatori del NOAA e dell’Università del Colorado, in USA: i risultati delle loro ricerche sono stati pubblicati da poco su Nature.
In premessa, lo studio* evidenzia che negli Stati Uniti non c’è un sistema elettrico unico, quanto piuttosto diversi sistemi regionali interconnessi, gestiti però in maniera autonoma l’uno dall’altro. Altro elemento peculiare degli Stati Uniti è l’ampia estensione territoriale, che comprende quindi sia ampie zone ottimali per la produzione fotovoltaica, sia altrettanto ampie zone ottimali per la produzione eolica.
Secondo lo studio, le infrastrutture di rete andrebbero decisamente sviluppate, creando un sistema unico nazionale costituito da collegamenti HVDC, che rispetto alle reti HVAC consentono una più agevole trasmissione dell’energia sulle lunghe distanze. In questo modo, si riuscirebbe a sfruttare in maniera ottimale la produzione da FER: infatti la variabilità e l’intermittenza di tali produzioni si riduce all’aumentare dell’area territoriale coperta dalla rete di collegamento. Con un efficiente sistema unico di trasmissione su tutto il territorio degli USA, si riuscirebbe quindi ad attenuare fortemente tale intermittenza, ottenendo, utilizzando termini più affascinanti, una de-correlazione temporale delle produzioni da FER. A tale ridotta variabilità si aggiungerebbe la scelta ottimale della localizzazione degli impianti, finalizzata ad ottenere i più alti capacity factor possibili. Ecco che il puzzle (almeno teoricamente) è risolto: sfruttamento massimo delle FER grazie alla ridotta intermittenza su ampia scala geografica e minimizzazione dei costi grazie all’ottimale localizzazione degli impianti.
I ricercatori hanno elaborato un complesso modello di simulazione/ottimizzazione, partendo da un’estesa base pluriennale di dati metereologici orari, aventi la risoluzione territoriale di una griglia con celle di 13 km di lato. In questo modo sono stati ottenuti i valori di capacity factor per ogni cella della griglia territoriale, individuando così le aree potenzialmente ottimali per l’installazione di impianti FV ed eolici (vedi figura 1).


Obiettivo del modello è stato quello di individuare lo schema della rete di trasmissione e dell’ubicazione di impianti FER e tradizionali che fosse ottimale sia dal punto di vista ambientale (riduzione della CO2), sia dal punto di vista dei costi (minimizzazione costi di sistema), e sia dal punto di vista della gestione in sicurezza del sistema elettrico (dispacciamento degli impianti).
Nel modello sono stati inseriti i possibili trend della domanda elettrica e gli scenari di evoluzione dei costi delle tecnologie e del gas, e sono stati considerati molti vincoli, come l’esclusione di aree protette e urbanizzate per l’installazione di impianti FV o eolici, la costruzione di nuovi impianti nucleari o fossili solo in corrispondenza di siti già esistenti, ecc. Ovviamente un tale modello, nonostante la sua complessità, ha dovuto prevedere varie semplificazioni: non è considerato il pompaggio idroelettrico, le tecnologie di produzione ancora in fase di sviluppo (CSP, moto ondoso, geotermico), le tecnologie di storage.
Sono stati considerati tre scenari evolutivi al 2030: High-cost Renewables Low-cost Gas (HRLG), Low-cost Renewables High-cost Gas (LRHG), Mid-cost Renewables Mid-cost Gas (MRMG). Le emissioni di CO2, secondo il modello, con le tecnologie attuali potrebbero essere ridotte del 33% (HRLG), del 61% (MRMG) e addirittura del 78% (LRHG) rispetto ai livelli del 1990. Il tutto mantenendo un costo medio LCOE di sistema in linea con quello del 2012: 8.6 c$/kWh (HRLG), 10,2 c$/kWh (MRMG), 10,0 c$/kWh (LRHG), rispetto ai 9,8 c$/kWh del 2012.
Inoltre, un migliore sfruttamento delle fonti rinnovabili avrebbe un ulteriore  effetto di decarbonizzazione sull’economia in generale, tramite l’utilizzo delle elettro-tecnologie attualmente esistenti (pompe di calore, veicoli elettrici, cucine a induzione).
Gli autori sottolineano che nello scenario migliore (LRHG) i risparmi annui totali di questo sistema di trasmissione unico rispetto agli attuali sistemi regionali sarebbe pari a 47 mld di dollari, cioè circa il triplo del costo annuo dell’infrastruttura di rete HVDC ipotizzata. Mi permetto di evidenziare che, probabilmente non a caso, gli autori non riportano quali sarebbero i risparmi annui negli altri due scenari, forse perché, in effetti, il costo annuo della rete HVDC sarebbe maggiore.
Le figure seguenti, tratte dall’articolo pubblicato su Nature, sintetizzano i risultati ottenuti.






Una domanda però mi rimane: come si potrebbe tradurre e perseguire in pratica la localizzazione ottimale degli impianti prevista dal modello e riportata in figura 3? Escludendo la totale nazionalizzazione/monopolizzazione, lo Stato dovrebbe elaborare meccanismi tali da guidare in maniera molto precisa l’installazione dei nuovi impianti solo nelle aree geografiche previste al fine di un’ottimizzazione di sistema. Compito molto molto difficile, secondo me. Di sicuro, però, lo storage di energia elettrica non sembra l’unica strada da percorrere verso una completa integrazione delle FER nel sistema, parallelamente al miglior sfruttamento della loro produzione e mantenendo alti i livelli di sicurezza della rete.
Sulla difficoltà di mettere in pratica tutto questo, anche gli stessi autori dello studio sono d’accordo: ma con il tipico spirito ottimista americano, che condivido pienamente anch’io, ricordano che la sfida per la creazione di un sistema elettrico unico nazionale è simile ad altri progetti (portati a termine) di infrastrutturazione nazionale, come le ferrovie transcontinentali nell’800 o le autostrade interstatali nel ‘900. Adesso è giunto il turno del sistema elettrico. Staremo a vedere.


*Future cost-competitive electricity systems and their impact on US CO2 emissions, Alexander E. MacDonald, Christopher T. M. Clack, Anneliese Alexander, Adam Dunbar, James Wilczak & Yuanfu Xie. Nature Climate Change (2016) doi:10.1038/nclimate2921

lunedì 8 febbraio 2016

NOma: l’app che racconta i luoghi e le persone morte per combattere la mafia

“Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe”

Ormai oggi esistono app di tutti i tipi e per tutti i gusti, ma a me non m’è n’è mai fregato granché. Ma stavolta PIF mi ha fatto cambiare idea. Sì, perché insieme all’associazione “Sulle nostre gambe”, ha realizzato un’app veramente interessante: “NOma”.  Il nome sta per NO mafia, ed è un progetto che si pone l’obiettivo di divulgare le storie delle tantissime persone (siciliani e non solo) che hanno combattuto la mafia fino a sacrificare le proprie vite. In che modo?
L’applicazione è una guida virtuale per chiunque voglia visitare (realmente o virtualmente) i luoghi delle stragi mafiose e, soprattutto, per scoprire le storie che quei luoghi raccontano. Nell’app troverete un elenco di personaggi, e per ognuno sarà raccontata la sua storia e i luoghi in cui furono ammazzati. Ogni storia è raccontata attraverso documenti storici, animazioni digitali, note biografiche, video, fotografie d’epoca e interviste inedite ai familiari. Le storie sono raccontate da tanti personaggi siciliani di oggi (lo stesso PIF, Beppe Fiorello, Pippo Baudo, Giuseppe Tornatore, Luigi Lo Cascio e tanti altri). Tutti i luoghi descritti sono georeferenziati e quindi si può anche essere guidati sui percorsi da seguire per visitarli realmente.

Nell’app (scaricabile gratuitamente) è anche presente un elenco degli esercenti siciliani che aderiscono ad Addiopizzo: distinti per categoria e tutti ovviamente georeferenziati.

Buona lettura e buon ascolto a tutti.

giovedì 21 gennaio 2016

Legge “Collegato ambientale”: non solo acqua e mozziconi di sigaretta...

Il 18 gennaio 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un’importante legge riguardante molti temi ambientali: "Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali", meglio nota come “Collegato ambientale”.

Molti di voi saranno subito interessati al tema dell’acqua: in questo provvedimento si stabilisce, infatti, la Tariffa sociale del servizio idrico integrato (cioè una tariffa idrica per utenti in condizioni di disagio economico) e si affronta il tema della morosità degli utenti. Questi temi sono agli artt. 60 e 61, quindi andiamo con ordine, e vediamo in sintesi tutti i principali contenuti di questa legge.

L'articolo 1 interviene in materia di responsabilità per danni all'ambiente marino causati dalle navi e dagli impianti, nel caso di avarie o incidenti, anche prevedendo che il proprietario del carico si munisca di una polizza assicurativa a copertura integrale dei rischi anche potenziali. L'articolo 2 riguarda la destinazione delle somme corrispondenti all'incremento delle royalty annualmente versate per la concessione di coltivazione di idrocarburi in mare. L'articolo 5 destina 35 milioni di euro per un programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro nell'ambito dei progetti a cui destinare i proventi - di competenza Minambiente - delle aste CO2. In particolare, si propone l’istituzione della figura del “mobility manager” negli istituti di ogni ordine e grado.

All'articolo 8 del collegato ambientale invece si interviene sulle procedure delle autorizzazioni ambientali riguardanti lo scarico in mare di acque derivanti da attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare.
Ancora, all'articolo 12 l'eliminazione del tetto dei 20 MW per i Seu e il rilascio dei certificati bianchi ai sistemi di autoproduzione di elettricità con ciclo Orc (Organic Rankine Cycle) alimentati dal recupero di calore prodotto da cicli industriali e da processi di combustione. L'articolo 13 amplia l'elenco dei sottoprodotti di origine biologica utilizzabili negli impianti per la generazione a biomasse e biogas ai fini dell'accesso agli incentivi.
All’art. 21 si istituisce lo “Schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell'impronta ambientale” dei prodotti.

L’art. 40 prevede il divieto di abbandono nell’ambiente di mozziconi di sigaretta e altri piccoli rifiuti come scontrini, fazzoletti e gomme da masticare (ma non era vietato già prima??) con multe che possono andare da 30 a 300 euro. Ovviamente tra il dire e il fare…

All’art. 56 è previsto un credito d’imposta del 50% delle spese che le aziende sosterranno per eseguire interventi di bonifica su immobili e strutture contenenti amianto.

Interessanti sono anche i provvedimenti contenuti nella parte VII “Disposizioni per garantire l’accesso universale all’acqua”. Vediamo le principali.

Con l’art 58 è istituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico un Fondo di garanzia per gli interventi finalizzati al potenziamento delle infrastrutture idriche, ivi comprese le reti di fognatura e depurazione, in tutto il territorio nazionale, e a garantire un'adeguata tutela della risorsa idrica e dell'ambiente secondo le prescrizioni dell'Unione europea. Il Fondo è alimentato tramite una specifica componente della tariffa del servizio idrico integrato, da indicare separatamente in bolletta, determinata dall'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.

L’art. 60 prevede la Tariffa sociale del servizio idrico integrato: l'Autorità, al fine di garantire l'accesso universale all'acqua, assicura agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso, a condizioni agevolate, alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali, sulla base dei principi e dei criteri individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e delle finanze.

All’art.61 si affronta il tema della morosità nel servizio idrico: l’Autorità, di concerto con i Ministeri, emanerà delle direttive per il contenimento della morosità degli utenti, assicurando che sia salvaguardata, tenuto conto dell'equilibrio economico e finanziario dei gestori, la copertura dei costi efficienti di esercizio e investimento e garantendo il quantitativo minimo vitale di acqua necessario al soddisfacimento dei bisogni fondamentali di fornitura per gli utenti morosi. L’Autorità è altresì comunque incaricata di definire le procedure per la gestione della morosità e per la sospensione della forniture, che non potranno più quindi essere definite autonomamente dalle aziende che operano negli ATO.