Il "delitto d'onore" è qualcosa che sembra rimandare a tempi lontani, lontanissimi. Eppure tale fattispecie di omicidio - con le relative attenuanti dovute proprio alle ragioni "d'onore" - è stato presente nel Codice Penale italiano fino al 1981, anno della sua abolizione.
Oggi mi è capitato di leggere sul sito "Balarm" un interessante articolo di Maria Olivieri, che mi ha fatto scoprire che l'ultimo delitto d'onore (ufficialmente riconosciuto come tale in esito ad un processo) è stato commesso a Catania da un abitante di Piazza Armerina, la mia città natale. Di seguito riporto per intero l'articolo citato.
Buona lettura
L'ultimo delitto d'onore fu in Sicilia nel '64: la tresca tra il professore universitario e Mariatena
- di Maria Olivieri -
È un'Italia in rapida trasformazione quella degli anni Sessanta: gli italiani sperimentano grandi cambiamenti nel loro stile di vita e nei loro consumi. Sono gli anni del boom economico, del progresso e del benessere alla portata di tutti, ma sono anche gli anni della feroce critica sociale.
Nel 1961 esce nelle sale cinematografiche “Divorzio all’italiana”, graffiante pellicola di Pietro Germi candidata a tre premi oscar che ridicolizza il delitto d’onore: un reato con pena ridotta, commesso per vendicare l'onorabilità del proprio nome o della propria famiglia (art. 587 del codice penale). Alla commedia fa seguito nel 1964 un altro film al vetriolo di Germi “Sedotta e abbandonata”, analisi impietosa dell'ipocrisia di una Sicilia dominata da un grottesco senso dell'onore.
L’opinione pubblica è divisa; come emerge in un’inchiesta di AZ, un noto rotocalco del 1969, per la maggior parte degli anziani “l’onore è sacro”, è un valore profondamente radicato nella psicologia del popolo siciliano, va difeso sempre e comunque, anche a costo di compiere gesti estremi. I giovani invece considerano l’onore come qualcosa di legato solo a un concetto morale, non fisico e giudicano il delitto d’onore una forma di arretratezza culturale. In questo acceso dibattito che infiamma gli animi a metter legna sul fuoco è il discusso caso Furnari.
La sera del 20 Ottobre 1964, intorno alle ore 18,00 all’università di Catania, in un’aula affollata da numerosi studenti per gli esami della sessione autunnale, il professore Francesco Speranza che ha 48 anni ed è titolare della cattedra di geografia presso l’istituto di magistero, presiede la commissione esaminatrice. I docenti hanno appena finito di interrogare uno studente quando improvvisamente la porta dell’aula si spalanca e tra lo stupore e la curiosità dei presenti un uomo maturo si dirige con piglio deciso verso la cattedra. È magro, stempiato, pallido… è vestito di nero e tiene una mano in tasca. Si ferma di fronte a Speranza, estrae una beretta 7,65 (che come si scoprirà veniva detenuta illegalmente) e la punta contro il docente esclamando: “La conosci questa?”
Prima che Speranza riesca anche solo a esclamare qualcosa, l’uomo preme il grilletto e spara cinque colpi, uccidendo il docente. Gli studenti sono in preda al panico: si odono grida, vi è un gran trambusto. Qualcuno cerca invano di soccorrere il professore, che si è accasciato in un mare di sangue, ma ormai non c’è più nulla da fare…
A compiere l'insano gesto è stato il padre di una studentessa, il maestro elementare Gaetano Furnari, che ha voluto punire il seduttore che ha “disonorato” la sua figliola. Nella confusione generale Furnari fugge a precipizio dal palazzo e poi vaga senza meta per una decina di minuti; infine si costituisce in una caserma dei carabinieri: “L’ho ucciso per vendicare l’onore della mia figliola” dichiara ai militari che cercheranno di ricostruire l’antefatto del delitto.
Furnari abita a Piazza Armerina, in provincia di Enna, nella palazzina di famiglia dove sul portone vi sono ancora le iniziali di suo padre: Filippo Furnari. Da due anni la figlia diciannovenne Maria Catena, che tutti chiamano Maritena, si è trasferita a Catania per poter proseguire gli studi all’Università e vive in una pensione.
La studentessa teme a causa di un ritardo del ciclo di aspettare un bambino e lei stessa rivela al padre, di ritorno da scuola, di essere stata sedotta contro la sua volontà dal professore Speranza. La ragazza parla di un unico episodio di violenza. Il genitore rimane stravolto, piomba nella più cupa disperazione, si mette le mani sul viso e poi le dice “Vestiti e andiamo a Catania. Dato che tu si stata posseduta dal professore Speranza è giusto che io vada da lui e che ti consegni a lui perché si prenda cura di te.” I piani di Furnari tuttavia sono diversi da quelli che espone alla figlia, probabilmente per non metterla in allarme.
Il maestro e la figlia partono nel primo pomeriggio, prendono un’automobile a noleggio e chiedono all’autista di dirigersi direttamente al Magistero, dove nel pomeriggio Speranza deve fare gli esami. Poi l’arrivo in aula e la tragedia che la figlia non aveva previsto né immaginato. L’imputato, che presta fede al racconto di Maritena atteggiatasi a vittima di violenza carnale, durante il processo scoprirà che i fatti sono andati diversamente e che la ragazza era consenziente: tra il professore e la sua studentessa Maritena c'era una relazione.
Speranza era un uomo affascinante, elegante, dimostrava meno dei suoi 48 anni, ci sapeva fare con le studentesse (e ne aveva sempre qualcuna intorno); tra queste c’era la Furnari ragazza esuberante, spigliata, fuggita dalla vita del paese e da una famiglia troppo all’antica.
Maritena si è concessa volentieri quando si è accorta di aver suscitato l'interesse del professore e i due si sono incontrati in una stanza dell'hotel Paradiso dell'Etna, “per ottenere un 30 e lode sul libretto” aggiungono i maligni. Scoperta la verità sulla tresca lo stesso Furnari, pentito del suo gesto, esclama con amarezza: «Se l'avessi saputo, non l'avrei fatto!»
Il maestro di Piazza Armerina viene processato nel novembre del 1965 per omicidio volontario. Furnari cerca di spiegare al processo la sua posizione: “Quello che per me era un dubbio il giorno successivo quando mia figlia mi ha fatto la confessione è diventata una realtà… Mia figlia aveva 19 anni, era una signorina, era l’ultimogenita, l’unica figlia femmina… era tutto per me! Era quella che alimentavo direi quasi con il mio alito per portarla avanti. Avevo contato nello studio perché si portasse avanti, senza pretese comunque: quando lo vuoi fare l’esame lo fai, se non sei sufficientemente preparata ci rinunci, tanto il tempo non ha valore nel raggiungimento di uno scopo.”
La stampa mostra comprensione per l’assassino dai modi pacati e dalla voce flemmatica. I giornalisti scrivono che Furnari è un insegnante severo ma buono che viene guardato con rispetto a Piazza Armerina dove lo definiscono leale, equilibrato, comprensivo. Persino il pubblico ministero, il giovane Lorenzo Inserra, sembra cercare delle attenuanti al delitto e definisce il maestro «l'unico vero galantuomo del processo», colpevole solo di non aver saputo controllare la sua ira.
Giuseppe Alessi che regge il collegio di difesa afferma in modo teatrale che “Il peccato e il delitto sono nati ed esplosi nella scuola: insegnante è l'omicida; docente universitario l'ucciso; studentessa del Magistero la sedotta; il banco, la cattedra, gli esami sono stati l'occasione e la degradante condizione del disonore e dell'omicidio! Ebbene, il Furnari, primo gradino della scala, ha incarnato la norma morale; ai vertici di quella piramide il professore di Università la ha infranto!».
La colpa moralmente più grave secondo la difesa è dunque quella di Speranza, che ha abusato della sua posizione per poter soddisfare le sue voglie.
Alcuni giornali invece attaccano Maria Catena, definita “la ragazza trenta e lode”, che avrebbe ceduto alle avances del professore solo per ottenere un buon voto e che non ha esitato ad armare la mano dell’assassino, ricorrendo a una menzogna: ai giornalisti non è sfuggito lo schiaffo del giovane Dario Speranza, figlio del professore, alla studentessa nell’aula del processo. Del resto quando di questione di onore trattasi è opinione diffusa che la donna non sia mai esente da colpa…
Il 23 dicembre 1965, dopo 12 udienze, l'imputato viene riconosciuto colpevole ma i giudici gli concedono tutte le attenuanti del delitto d’onore: Furnari viene condannato a due anni e undici mesi di reclusione. Una pena mite, che fa del maestro di Piazza Armerina l' ultimo giusto vendicatore dell' onore. Il pubblico applaude la sentenza eppure l' avversione per l’art. 587 lentamente comincia a farsi strada. Nel clima crescente di indignazione di una parte dell’opinione pubblica interviene anche Leonardo Sciascia per esprimere un giudizio critico sull'assurdità e stupidità del delitto d'onore e sulla inciviltà dell'articolo di legge che lo contempla.
La sentenza Furnari del 1965 fu "l'ultima volta" del delitto d'onore in Italia: l’art. 587 non verrà più applicato, nel 1981 finalmente verrà abolito.
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