sabato 23 aprile 2022

Resistenza ieri e oggi: le parole di Mattarella, Segre e don Milani.

Uno degli appuntamenti fissi tra me e questo mio blog è il 25 aprile.

Quest'anno il 25 aprile ha un significato e una prospettiva ulteriore, a causa della guerra in Ucraina (o meglio, il significato è sempre lo stesso, siamo noi che forse quest'anno dovremmo riuscire a individuarlo più chiaro e netto).

Per questo motivo, ho deciso di riportare qui alcune dichiarazioni (del passato e del presente) finalizzate a far si che questa data non serva soltanto a "fare memoria" (che è comunque importante), ma anche ad evitare di essere indifferenti quando qualcosa del genere succede ancora da qualche parte del mondo, e a saperci schierare dalla parte giusta della storia.

Buona lettura

Sergio Mattarella, 22/04/2022

Ricordiamo la rivolta in armi contro l’oppressore. Rivolta che fu morale, anzitutto - come ha ricordato il Presidente Buscemi - e poi difesa strenua del nostro popolo dalla violenza che veniva scatenata contro di esso.

Il 25 aprile rappresenta la data fondativa della nostra democrazia, oltre che di ricomposizione dell’unità nazionale. Una data in cui il popolo e le Forze Alleate liberarono la nostra Patria dal giogo imposto dal nazifascismo. Un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista.

Un’esperienza terribile; che sembra dimenticata, in queste settimane, da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone, accantonando valori comuni su cui si era faticosamente costruita, negli ultimi decenni, la pacifica convivenza tra i popoli.

Abbiamo assistito, in queste settimane– con un profondo senso di angoscia - a scene di violenza sui civili, anziani donne e bambini, all’uso di armi che devastano senza discrimine, senza alcuna pietà.

L’attacco violento della Federazione Russa al popolo ucraino non ha alcuna giustificazione, come è emerso dalle parole del Ministro Guerini, poc’anzi. La pretesa di dominare un altro popolo, di invadere uno Stato indipendente, ci riporta alle pagine più buie dell’imperialismo e del colonialismo.

L’incendio appiccato alle regole della comunità internazionale appare devastante; destinato a propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermarlo subito, scongiurando il pericolo del moltiplicarsi, dalla stessa parte, di avventure belliche di cui sarebbe difficile contenere i confini. Per tutte queste ragioni la solidarietà, che va espressa e praticata nei confronti dell’Ucraina, deve essere ferma e coesa.

È possibile che questo comporti alcuni sacrifici. Ma questi avrebbero portata di gran lunga inferiore rispetto a quelli che sarebbe inevitabile subire se quella deriva di aggressività bellica non venisse fermata subito.

Dal “nostro” 25 aprile, nella ricorrenza della data che mise fine alle ostilità sul nostro territorio, viene un appello alla pace. Alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza. A praticare il coraggio di una de-escalation della violenza, il coraggio di interrompere le ostilità, il coraggio di ritirare le forze di invasione. Il coraggio di ricostruire.

La straordinaria conquista della libertà, costata sacrifici e sangue ai popoli europei - e condivisa per molti decenni - non può essere rimossa né cancellata.

Sappiamo anche che la libertà non è mai acquisita una volta per sempre e che, per essa, occorre sapersi impegnare senza riserve.

Vale ovunque. In Europa, in Italia. Il convinto e incondizionato rifiuto di ogni sopraffazione totalitaria, unitamente alla consapevolezza dell’importanza della democrazia, all’affermazione coraggiosa e intransigente del rispetto della dignità umana, al rifiuto di ogni razzismo, alla fedeltà ai propri ideali, sono i valori che ci sono stati affidati dalla Liberazione; e che avvertiamo di dover trasmettere ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai giovani europei perché si scongiuri l’atrocità inescusabile della guerra.

Lottare contro la sopraffazione, in aperta violazione del diritto internazionale, scongiurare morti ulteriori e sofferenze ulteriori di un popolo aggredito, è una causa comune che ci interpella e ci vede impegnati.

Riflettere sul valore dei diritti dell’uomo, primo fra tutti quello di poter vivere in pace, è il forte messaggio che ci ha consegnato la Resistenza.


Liliana Segre  - 25/03/2022

La guerra assurda e sanguinosa che all’improvviso è tornata a sconvolgere il cuore della nostra Europa provoca in me un orrore che non mi è facile descrivere: quelle bombe sulle case, quelle famiglie in fuga, quei padri che baciano i figli forse per l’ultima volta e tornano indietro per combattere… quanti ricordi di un terribile passato, che non avrei mai, mai immaginato di rivedere così vicino a tutti noi!

Anche rispetto a questa mostruosità della guerra, la nostra Costituzione ci offre una guida sicura, se riusciamo a declinare in chiave universale i suoi precetti. Infatti, l’aggressione immotivata e ingiustificabile contro la sovranità dell’Ucraina rappresenta proprio l’esempio evidente del tipo di guerra che, più di ogni altro, l’articolo 11 della Costituzione ci insegna a «ripudiare»: la guerra come «strumento di offesa alla libertà degli altri popoli».

E la resistenza del popolo invaso rappresenta l’esercizio di quel diritto fondamentale di difendere la propria patria, che l’articolo 52 prescrive addirittura come «sacro dovere».

Dunque, non è concepibile nessuna equidistanza; se vogliamo essere fedeli ai nostri valori, dobbiamo sostenere il popolo ucraino che lotta per non soccombere all’invasione, per non perdere la propria libertà.

Questo sostegno non può e non deve significare inimicizia nei confronti del grande popolo russo, anzi. Anche questo popolo subisce le conseguenze nefaste delle scelte e della condotta disumana dei suoi governanti. Condotta che reca offesa alla memoria dei 20 milioni di caduti dell’Unione Sovietica – dunque russi e ucraini insieme – nella guerra vittoriosa contro il nazifascismo.

Credo che proviamo tutti lo stesso senso di ripugnanza, di angoscia e anche di impotenza di fronte a questa guerra. Possiamo solo unirci nel chiedere un immediato cessate il fuoco, la fine dell’invasione russa, l’invio di rapidi aiuti alla popolazione civile, l’avvio di trattative a oltranza, l’affidamento all’Onu di un ruolo di interposizione, il ristabilimento di una pace autentica basata sulla giustizia e il rispetto dei diritti dei popoli.


Don Milani, 1965 (qui link al mio precedente articolo che parla di Don Milani).

Era nel 1922 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non la difese. Stette ad aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza "cieca, pronta e assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo. Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina, e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella parla non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come fate voi, fecero un male immenso alla Patria (e, sia detto incidentalemente, disonorarono anche la Chiesa).

Poi dal '39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre sei Patrie che non avevno certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).

Ma in questi cento anni di storia italiana c'è stata anche una guerra "giusta" (se guerra giusta esiste).

L'unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall'altro soldati che avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i "regolari"? E' una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. [...] Poi, per Grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva scatenato. Le patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo, dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare.

Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.

Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il loro malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.


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