E' probabilmente la parola che pronunciamo di più in questi giorni: "Auguri". Con tutte le altre declinazioni del caso: "a te e famiglia", "sinceri", "di cuore", "-issimi", "-oni", ecc ecc.
Ma dove viene questa parola? Saperne qualcosa di più può renderci più consapevoli quando la pronunciamo.
L’etimologia del termine Auguri deriva dall’unione di due vocaboli latini: av-is (o au-is) = uccello, volatile + gero = portare, rivelare, compiere, mostrare o agire. Nell’antica Roma (e anche tra gli Etruschi), l’àugure era un sacerdote il cui compito era interpretare la volontà e i segni degli dèi. Tali sacerdoti dovevano trarre gli auspicia, una sorta di segni, dall’interpretazione del comportamento degli uccelli: in particolare il volo, i versi e il modo di fare dell’animale. Monitorare i loro segnali serviva a capire se gli dèi approvassero o meno l’agire degli umani sia in ambito pubblico che privato. Auspicia, infatti, deriva da aves specere, ovvero “osservare gli uccelli” . Il sacerdote non doveva lasciarsi sfuggire alcun suggerimento ma solo comunicare se qualcosa su cui si era già deciso o era imminente nel compiersi, incontrasse l’approvazione o lo sdegno degli dei.
Detto questo, la parola "Auguri", per come la usiamo oggi e collegandola al significato originario, dovrebbe significare qualcosa tipo "prevedo che ciò che hai deciso o deciderai di fare si realizzerà e andrà molto bene, perchè il favore degli Dei (o di Dio) è con te".
E allora...AUGURI a tutti i lettori di Appunti Pindarici!
Nessun commento:
Posta un commento