"Il calcio non è questione di vita o di morte, è molto di più."
Stamattina sono capitato sul blog storiedicalcio.myblog.it, dove ho letto questa storia drammatica, che unisce calcio, coraggio e onore.
Abbiamo bisogno di storie come questa, per credere in uno sport che oggi sembra quasi dimenticare le sue origini, e per continuare a fare memoria di chi, in quegli anni, ha avuto le palle cubiche (scusate il "francesismo").
Buona lettura.
Il pomeriggio di domenica 9 agosto 1942 si disputa, allo stadio Zenit di Kiev, quella che rimarrà ricordata negli annali con il tragico nome di “partita della morte”. Il contesto, come si può facilmente intuire da luogo e data, è quello dell’Ucraina occupata dai nazisti che l’hanno invasa un anno prima nell’ambito dell’Operazione Barbarossa, uno dei momenti più crudi del secondo conflitto mondiale. Un contesto più preciso e legato all’ambito calcistico può essere definito citando l’esistenza di un torneo che ha in precedenza visto scendere in campo compagini di diversa estrazione: da gruppi di internati di varie nazionalità a selezioni tratte da reparti dell’esercito tedesco.
A distinguersi su tutti è una squadra locale, l’FC Start, composta nella sua ossatura da giocatori che militavano, prima dello scoppio della guerra, nell’allora fortissima Dinamo Kiev: Nikolai Trusevich, Mikhail Sviridovskiy, Nikolai Korotkikh, Aleksey Klimenko, Fedor Tyutchev, Mikhail Putistin, Ivan Kuzmenko e Makar Goncharenko. La formazione è completata da Vladimir Balakin, Vasiliy Sukharev, e Mikhail Melnik provenienti da un’altra squadra della capitale ucraina, la Lokomotiv. Nonostante i giocatori non si allenino da tempo a causa della guerra e siano costretti a lavorare nella bottega di un panettiere per sopravvivere, tengono alta la fama della leggendaria squadra di cui facevano parte in precedenza e fanno già pregustare ai nazisti il vanto di sconfiggere in finale una formazione degna di così alta considerazione. La squadra allestita dall’esercito di occupazione raccoglie gli ufficiali della Luftwaffe, l’aviazione tedesca, e si presenta sotto il nome di Flakelf, il fiore all’occhiello dello “sport armato” hitleriano.
La propaganda esalta la squadra nazista tappezzando la città di manifesti che ne narrano le gesta, sorvolando sul fatto che pochi giorni prima la stessa è già stata sconfitta dall’FC Start e che il match del 9 agosto ad altro non serve se non a concedere ai giocatori ucraini la possibilità di salvarsi la vita lasciando che la squadra espressione della razza ariana dimostri la propria straordinaria superiorità. Secondo quanto riportano le discordanti fonti – che spesso è difficile capire dove abbandonino il terreno della cronaca, inoltrandosi in quello fumoso della leggenda – quel primo match si era concluso sul 5-1, con una prova di forza da parte dell’FC Start tale da ammettere poche repliche.
Prima dell’inizio dell’incontro il team ucraino riceve negli spogliatoi la poco gradita visita di un ufficiale delle SS designato per arbitrare l’incontro. Il discorso che questi fa ai giocatori va decisamente oltre le solite raccomandazioni che un arbitro rivolge agli atleti, visto che l’ufficiale nazista lascia intendere senza troppi giri di parole quello che dovrà essere il loro compito quel giorno: perdere. Al fischio d’inizio si capisce subito che quelli della Flakelf sono disposti ad ottenere ciò che vogliono con le buone, ma soprattutto con le cattive, potendo contare, ovviamente, su un trattamento di favore da parte dell’arbitro. E proprio su un’azione dalla regolarità quantomeno dubbia la compagine tedesca trova il vantaggio. Il pareggio arriva grazie ad una conclusione da lontano di Kuzmenko. Poco dopo è Goncharenko ad appoggiare in rete dopo essersi portato a spasso l’intera difesa della Flakelf; e sempre lui, prima dell’intervallo, allunga sul 3-1.
Nello spogliatoio ai giocatori dell’FC Start vengono ricordate le conseguenze di una loro mancata sconfitta contro la formazione nazista e probabilmente queste minacce riscuotono l’effetto sperato perché appena rientrati in campo la Flakelf segna due volte e pareggia. A distanza di sessantacinque anni è difficile sapere cosa possa aver spinto gli ucraini a compiere un gesto all’apparenza folle, sta di fatto che la porta degli invasori viene violata altre due volte. A questo punto, narrano alcune versioni, il difensore Klimenko, forse conscio che ormai il loro destino è segnato e che quindi tanto vale andare fino in fondo, dribbla alcuni avversari e, superato anche il portiere, invece di appoggiare nella porta sguarnita, si gira e calcia la palla verso il centro del campo, come a non voler infierire su un avversario nettamente inferiore.
A questo punto le forze d’occupazione sono assolutamente determinate a mettere in atto le minacce rivolte ai propri avversari, ma non sembra che lo facciano “a caldo”, come sostengono alcune versioni. I giocatori ucraini non devono comunque attendere molto prima di avere notizie dei nazisti. Nei giorni successivi, infatti, agenti della Gestapo fanno irruzione nella panetteria in cui lavorano i membri dell’FC Start e li arrestano, portandoli nel quartier generale della polizia segreta hitleriana a Kiev. Qui gli ufficiali nazisti sottopongono gli ucraini a tortura, con l’intento di fargli confessare crimini che non hanno commesso e poi giustiziarli. Nessuno cede, ma uno di loro, Nikolai Korotkikh, non sopravvive alle torture infertegli. I suoi compagni vengono trasferiti al campo di concentramento di Siretz, dove sono costretti a lavorare in condizioni disumane. Quando, nel 1943, i tedeschi subiscono un attacco partigiano, viene ordinata la rappresaglia nei confronti dei prigionieri del campo; in particolare, il famigerato Paul von Radomski, comandante in carica a Siretz, ordina la fucilazione di un internato ogni tre. A farne le spese sono Kuzmenko (colui che ha segnato la rete del pareggio), Trusevich (il portiere della squadra) e Klimenko (il capitano e colui che ha irriso i nazisti decidendo di non segnare a porta vuota), che vengono uccisi e gettati a Babi Yar, il dirupo situato a Kiev e tristemente noto come la sede del più ampio episodio di massacro di ebrei da parte dei nazisti (oltre 33.000 in soli due giorni), oltre ad essere il luogo in cui più di 100.000 persone vengono giustiziate nel corso dell’occupazione tedesca. Per altri tre elementi dell’FC Start – Goncharenko, Tyutchev e Sviridovsky - la sorte è più favorevole visto che sono trasferiti nella capitale con lo scopo di essere dedicati a lavori forzati in loco, ma da dove, temendo di condividere il destino dei loro compagni, riescono a trovare il coraggio per fuggire e nascondersi fino all’arrivo delle truppe dell’Armata Rossa. Non è ancora dato sapere quale fu la sorte degli altri eroi dello Start.
L’arrivo dei sovietici significa per i superstiti la fine dell’incubo nazista, ma, ben lungi dal ricevere gli onori che gli spetterebbero, sono indotti a tacere riguardo alla vicenda poiché il fatto di aver partecipato ad un torneo di calcio organizzato da nazisti può comportare un’accusa di collaborazionismo, rimettendo nuovamente a rischio la propria incolumità.
Solo dopo la caduta di Stalin Goncharenko trova il coraggio di raccontare l’accaduto, facendo finalmente entrare gli undici eroi dell’FC Start nella leggenda. Leggenda immortalata in un monumento (a destra) collocato all’esterno dello Zenit di Kiev, che dal 1981 si chiama Start Stadium.
La loro storia è stata di ispirazione per molti: il regista ungherese Zoltan Fabri ne trasse un film intitolato “Due tempi all’Inferno” (1961) e così fece il collega sovietico Evgenij Karelov (“Il terzo tempo”, 1962). Molto più noto è “Fuga per la vittoria” (1981) dell’americano John Huston, che si avvalse della recitazione di Sylvester Stallone, Bobby Moore, Michael Cane e Pelè, ma rielaboro la storia in modo decisamente libero.
Bill Shankly, leggendario allenatore del Liverpool negli anni ’60, amava ricordare: “Il calcio non è questione di vita o di morte, è molto di più”. Forse anche lui quando pronunciava queste parole aveva in mente gli undici eroi dell’FC Start.
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