Come qualcuno saprà, in questi mesi ho frequentato un Master in Gestione delle Risorse Energetiche, e questo che segue è l'articolo che riassume il lavoro svolto dal nostro gruppo “Waste to Energy".
Gli autori, in ordine alfabetico, sono:
Marco Campagna, Rachele Caracciolo, Luigi De Roma,
Francesco Grasselli, Chiara Iobbi, Gianluca Pica.
Ogni domanda e curiosità è più che bene accetta!!
Buona lettura.
Rifiuti solidi urbani (RSU) di
Roma: tanti, troppi. Che farne? È possibile sviluppare un sistema di gestione
in grado di risolvere la situazione di emergenza? È questa la domanda alla
quale abbiamo cercato di dare una risposta nel project work presentato il 14 giugno scorso alla Sala
Capitolare della Biblioteca del Senato della Repubblica.
Per capire come poter risolvere il problema, siamo partiti dalla normativa che in Europa fa capo alla direttiva 2008/98/CE.
Emanata per istituire la cosiddetta “Gerarchia dei rifiuti”, prevenzione,
preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero energetico e solo in
ultimo smaltimento, è atta a rompere la correlazione fra la crescita di
popolazione e di rifiuti, non più sostenibile a livello mondiale. L’Italia,
benché abbia recepito per prima la direttiva, introducendo anche criteri
nazionali di “End of Waste” per la cessazione di qualifica di rifiuto, e benché
abbia flussi di RSU pro capite
annui in linea con la media comunitaria (500 kg l'anno), destina ancora alla
discarica quasi il 50% dei RSU; mentre Stati membri con flussi molto maggiori
hanno quasi azzerato le discariche grazie alle sinergie fra riciclaggio ed
incenerimento, che in Italia rimangono ben lontani dagli obiettivi comunitari
con percentuali rispettivamente del 34% ed del 15%. Quali sono, dunque, le
ragioni di debolezza del sistema di gestione italiano, e che cosa si potrebbe
fare per migliorarlo?
Guardando
anzitutto al contributo delle imposte e delle tariffe, è evidente, nell’analisi
cross country della Commissione europea, la diretta correlazione fra i
costi totali di gestione [1] e la percentuale di riciclaggio. Come si evince dal grafico, l'Italia associa
ad un costo totale di circa 130€, una percentuale di riciclaggio compatibile
con la tendenza degli altri Stati membri. Ma guardando ad Austria e Germania
sorge il dubbio se non si possa fare di meglio: i loro valori di riciclaggio,
superiori alla tendenza comunitaria, sembrano dovuti all'implemento di una
serie di divieti al conferimento in discarica, i quali, pur presenti anche in
Italia, incontrano difficoltà nell'applicazione. A ciò si aggiungono i forti
squilibri fra regioni e lo scarso ricorso al recupero energetico dei rifiuti.
Quest’ultimo risulta invece una
leva fondamentale per la gestione dei rifiuti in Germania (con struttura
industriale simile a quella italiana) anche grazie all'impiego dei CSS[2],
che produce in quantità sei volte maggiori rispetto all’Italia. Inoltre in
Italia il CSS è destinato in modo preponderante all’incenerimento ed in maniera
ridotta al coincenerimento. Quest'ultimo, infatti, si limita ai cementifici,
con una sostituzione termica media dell’8%, mentre nelle centrali
termoelettriche è pressoché nullo: ad oggi l'unico caso è la centrale di Fusina
con 50.000 t l'anno. Al momento, dunque, l’Italia non sfrutta tutti i vantaggi
che il CSS potrebbe darle dal punto di vista sia economico che ambientale:
risparmio di combustibili fossili, dovuto al coincenerimento nei forni
industriali, ed aumento dei materiali recuperati, dovuto al necessario
pretrattamento che ne ridurrebbe lo smaltimento.
La domanda che ci siamo posti è
dunque la seguente: può il CSS contribuire a risolvere l'impasse gestionale verificatosi
di recente nel Lazio? Questa regione, con circa 2,5 Mt l'anno, è al primo posto
in Italia per smaltimento di RSU. Di questi, circa il 70% (1,8 Mt) è prodotto a
Roma, dove ad oggi la RD copre solo il 26%, mentre ben 1,1 Mt, in deroga al DM
25/03/2013 che ne imponeva la chiusura, vanno nella “famigerata” discarica di
Malagrotta (al costo di 72 €/t, tra i più bassi d’Italia). Alla luce di quanto
detto è evidente che la soluzione all'emergenza del Lazio passa per Roma. Con
tale decreto un primo risultato è stato raggiunto con l’azzeramento dello smaltimento
di RSU tal quali in discarica poiché vengono pre-trattati nei 4 impianti di
trattamento meccanico-biologico (TMB), sfruttati al massimo delle loro potenzialità,
del comune ma si ricorre comunque per un 22% ad impianti di altre province. La legge
regionale però impone l’autosufficienza degli ATO (Ambito Territoriale
Ottimale). Quindi che altro si può fare?
Dai dati tecnici degli impianti
presenti nel territorio comunale abbiamo ricavato differenti scenari per calcolare,
fra le varie combinazioni di metodi di gestione realmente attuabili, la più
adatta a raggiungere l'autosufficienza nella gestione dei RSU. Inoltre a
completamento dell’analisi ambientale ed economica, per ogni scenario, abbiamo
calcolato i risparmi sulle emissioni di
CO2 e sui costi di gestione. Il calcolo delle emissioni di CO2
considera il minor ricorso ai combustibili fossili, all’incenerimento ed allo
smaltimento, al netto della CO2 derivante dalla produzione e
combustione del CSS. I risparmi annui considerano i costi di smaltimento e di
incenerimento, al netto dei nuovi costi per la produzione del CSS, per
l'incentivo al coincenerimento e per l’aumento della RD.
In un primo scenario, definito
“on the road”, ipotizziamo un aumento della RD fino al 35% riducendo così del
9% la dipendenza dagli impianti TMB fuori Roma. Consideriamo inoltre un impiego
di CSS nei cementifici, con una sostituzione termica del 10% e nelle centrali
termoelettriche per 35.000 t annue; la restante parte di CSS andrebbe a recupero
energetico in inceneritori. Con queste misure si ridurrebbe di ben il 72% lo
smaltimento attuale, riducendo inoltre la CO2 di 0,6 Mt e
risparmiando 20 M€.
Il secondo scenario analizzato,
definito “target”, ipotizza la RD al 49% ed il coincenerimento di CSS al 30% di
sostituzione termica nei cementifici e 70.000 t annue nelle centrali
termoelettriche. Con questi presupposti, si avrebbe un’ulteriore riduzione del
53% dello smaltimento, che ammonterebbe così a sole 130.000 t annue. La
riduzione di CO2 sarebbe di 1 Mt mentre i risparmi scenderebbero a
10 M € per gli effetti congiunti sui costi considerati.
Il terzo ed ultimo scenario,
detto “senza CSS”, permette di apprezzare il contributo di incenerimento e
coincenerimento: mantenendo la RD al 49% (come nello scenario “target”) ma
eliminando totalmente il ricorso a qualsiasi tipo di recupero energetico,
abbiamo ottenuto l'eloquente risultato che lo smaltimento, rispetto allo
scenario “target”, aumenterebbe del 300%, la CO2 evitata sarebbe
solo 0,8 Mt ed i risparmi ammonterebbero a solo 5 M €.
Alla luce dell'analisi svolta, è evidente che la soluzione
per Roma passa anzitutto per l'aumento della RD riducendo i gradini inferiori
della gerarchia, in ossequio alla direttiva 2008/98/CE; questa sarebbe una
misura in sé sufficiente a garantire il raggiungimento dell'autonomia
provinciale, anche se abbiamo ritenuto che concentrarsi sul territorio comunale
fosse più adatto ad accelerare le decisioni e quindi la fattibilità delle soluzioni
proposte. Tuttavia, ciò che rende lo scenario “target” preferibile è proprio il
ritorno dei RSU non differenziabili al circuito delle risorse in forma di CSS,
che darebbe i maggiori benefici sotto il punto di vista ambientale ed
economico.
[1] Somma di tariffe ed imposte sullo
smaltimento o l'incenerimento, le prime applicate dal gestore dell'impianto per
coprire i costi, le seconde dall'amministrazione competente per scoraggiare
tali forme di gestione.
[2] Combustibile solido secondario,
prodotto da rifiuti urbani e speciali non pericolosi, utilizzato
nell'incenerimento e nel coincenerimento: è End of Waste se ricade in
determinate classi secondo il potere calorifico inferiore, il contenuto di
cloro ed il contenuto di mercurio).
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