Il 17 aprile ci sarà il referendum
sull’abrogazione del prolungamento (fino a esaurimento del giacimento) delle
concessioni per la attuali attività estrattive offshore ad una distanza dalla
costa minore di 12 miglia.
Non lo riconoscete? Vi siete persi già al passaggio “abrogazione
del prolungamento”?
Forse perché qualcuno ve lo ha
presentato come “referendum-trivelle”,
“referendum no-triv”, o altre
folcloristiche trovate. Ma in effetti, quello scritto all’inizio è il nome più appropriato,
che è sempre meglio della denominazione ufficiale utilizzata dallo stesso
comitato promotore: “Divieto di attività
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici
miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già
rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della
vita utile del giacimento”
Ma lasciamo stare le questioni di
comunicazione (che sono comunque tutt’altro che secondarie) e passiamo invece a
qualcosa di più concreto: Greenpeace ha pubblicato un “rapporto”
(non si offenda troppo chi i rapporti li fa per davvero) in cui pretende di
dimostrare la pericolosità delle piattaforme, utilizzando dati ISPRA che dicono
praticamente l’opposto. In che modo? Vi faccio un esempio:
Mi trovo in Finlandia in inverno
e, dopo aver misurato la quantità di neve caduta, la confronto con il mio
valore di riferimento, cioè la neve caduta in inverno in Sicilia: deduco in
maniera convinta che la Finlandia ha un problema di nevicate eccessive, perché il
livello di neve in Sicilia è molto minore. Qualcosa
non quadra, vero?
Beh, più o meno è questo quello
che ha fatto Greenpeace: confrontare concentrazioni relative a campioni di
acque che si trovano a distanze tra i 6 e 30 km dalla costa con dei valori
limite di concentrazione che valgono invece fino a meno di 2 km dalla costa. E’
abbastanza prevedibile che, più ci si avvicina alla costa, più i valori limite si
abbassano, perché aumentano gli organismi viventi esposti e le possibili
contaminazioni.
Ma vediamo di capire più nel
dettaglio.
Greenpeace si è fatta dare dei dati da ISPRA, riguardo ai piani di
monitoraggio ambientale obbligatori che vengono svolte nelle piattaforme
offshore, e con questi dati ha tirato fuori un “rapporto” quantomeno discutibile.
Prima nota stonata: i dati ricevuti da ISPRA che Greenpeace ha orgogliosamente
ottenuto, non sono resi pubblici sul sito di Greenpeace stessa! Alla faccia
della trasparenza.
Nel rapporto, sono stati
confrontati i valori di concentrazione nei sedimenti in corrispondenza delle
piattaforme (a distanze minime di 6 km dalla costa) con i valori limite di
concentrazione (SQA) fissati per le acque fino a circa 1,6 km dalla costa (1
miglio), dette acque costiere-marine, definite alla lettera c) dell’art.74 del
Testo Unico Ambientale (DL 152/06).
I risultati del confronto hanno
quindi significatività pressoché nulla.
L’unico valore limite che è stato
considerato correttamente è quello relativo al benzene nell’acqua (non nei
sedimenti), ed indovinate un po’? Loro stessi ammettono che in questo caso non
ci sono mai stati superamenti del limite!
Ecco i riferimenti utili per
verificare voi stessi quanto detto in questo articolo:
- Definizione di acque marino-costiere: lettera c) dell’art.74 del Testo Unico Ambientale (DL 152/06);
- Standard di Qualità Ambientale (SQA) per sedimenti in acque marino-costiere: DM 56/09 e 260/10, tabelle 2/A e 1/B;
- SQA per il Benzene valevole anche per le acque territoriali, cioè al di là delle marino-costiere: DM 56/09 e 260/10, tabella 1/A.
Che dire di più? La scienza è una
cosa seria, l’ambiente è una cosa seria.
Invece prendere in giro la gente
non è affatto serio nè rispettabile.
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