martedì 22 marzo 2016

Il rapporto-fuffa di Greenpeace sulle piattaforme offshore

Il 17 aprile ci sarà il referendum sull’abrogazione del prolungamento (fino a esaurimento del giacimento) delle concessioni per la attuali attività estrattive offshore ad una distanza dalla costa minore di 12 miglia.
Non lo riconoscete? Vi siete persi già al passaggio “abrogazione del prolungamento”?

Forse perché qualcuno ve lo ha presentato come “referendum-trivelle”, “referendum no-triv”, o altre folcloristiche trovate. Ma in effetti, quello scritto all’inizio è il nome più appropriato, che è sempre meglio della denominazione ufficiale utilizzata dallo stesso comitato promotore: “Divieto di attività prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita utile del giacimento”

Ma lasciamo stare le questioni di comunicazione (che sono comunque tutt’altro che secondarie) e passiamo invece a qualcosa di più concreto: Greenpeace ha pubblicato un “rapporto” (non si offenda troppo chi i rapporti li fa per davvero) in cui pretende di dimostrare la pericolosità delle piattaforme, utilizzando dati ISPRA che dicono praticamente l’opposto. In che modo? Vi faccio un esempio:

Mi trovo in Finlandia in inverno e, dopo aver misurato la quantità di neve caduta, la confronto con il mio valore di riferimento, cioè la neve caduta in inverno in Sicilia: deduco in maniera convinta che la Finlandia ha un problema di nevicate eccessive, perché il livello di neve in Sicilia è molto minore. Qualcosa non quadra, vero?

Beh, più o meno è questo quello che ha fatto Greenpeace: confrontare concentrazioni relative a campioni di acque che si trovano a distanze tra i 6 e 30 km dalla costa con dei valori limite di concentrazione che valgono invece fino a meno di 2 km dalla costa. E’ abbastanza prevedibile che, più ci si avvicina alla costa, più i valori limite si abbassano, perché aumentano gli organismi viventi esposti e le possibili contaminazioni.

Ma vediamo di capire più nel dettaglio.

Greenpeace si è fatta dare dei dati da ISPRA, riguardo ai piani di monitoraggio ambientale obbligatori che vengono svolte nelle piattaforme offshore, e con questi dati ha tirato fuori un “rapporto” quantomeno discutibile. Prima nota stonata: i dati ricevuti da ISPRA che Greenpeace ha orgogliosamente ottenuto, non sono resi pubblici sul sito di Greenpeace stessa! Alla faccia della trasparenza.
Nel rapporto, sono stati confrontati i valori di concentrazione nei sedimenti in corrispondenza delle piattaforme (a distanze minime di 6 km dalla costa) con i valori limite di concentrazione (SQA) fissati per le acque fino a circa 1,6 km dalla costa (1 miglio), dette acque costiere-marine, definite alla lettera c) dell’art.74 del Testo Unico Ambientale (DL 152/06).

I risultati del confronto hanno quindi significatività pressoché nulla.

L’unico valore limite che è stato considerato correttamente è quello relativo al benzene nell’acqua (non nei sedimenti), ed indovinate un po’? Loro stessi ammettono che in questo caso non ci sono mai stati superamenti del limite!

Ecco i riferimenti utili per verificare voi stessi quanto detto in questo articolo:
  • Definizione di acque marino-costiere: lettera c) dell’art.74 del Testo Unico Ambientale (DL 152/06);
  • Standard di Qualità Ambientale (SQA) per sedimenti in acque marino-costiere: DM 56/09 e 260/10, tabelle 2/A e 1/B;
  • SQA per il Benzene valevole anche per le acque territoriali, cioè al di là delle marino-costiere: DM 56/09 e 260/10, tabella 1/A.

Che dire di più? La scienza è una cosa seria, l’ambiente è una cosa seria.

Invece prendere in giro la gente non è affatto serio nè rispettabile.


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