Per raggiungere la famosa
decarbonizzazione del settore energetico e, più in generale, dell’economia di
un Paese, le infrastrutture elettriche di rete sono fondamentali. Infatti, l’integrazione
nel sistema delle fonti rinnovabili, e soprattutto della produzione da fonti
rinnovabili non programmabili (come il sole e il vento), ha necessariamente
bisogno di adeguate infrastrutture di rete. Ciò al fine di permettere
l’ottimale sfruttamento della produzione elettrica da tali fonti ed evitare sprechi
dovuti a insufficiente (o inesistente) magliatura di rete. Una rete magliata e
sviluppata in maniera ottimale potrebbe anche rendere meno necessario il
ricorso ai costosi (per ora) sistemi di storage.
I precedenti concetti sono
piuttosto noti, e si adattano perfettamente a famose situazioni italiane, come
il “famoso caso del Sorgente-Rizziconi”, ovvero il raddoppio del cavo di
collegamento tra Sicilia e Calabria, che permetterebbe di sfruttare molto
meglio la produzione rinnovabile (e non solo) sia in Sicilia che in tutto il Sud Italia. Ma questa è un’altra storia.
Come si diceva, per
decarbonizzare il settore energetico, ovviamente si può ricorrere alla
produzione di energia da fonti rinnovabili: tal energia (soprattutto l’energia
solare ed eolica) ha però costi di produzione (Levelised Cost Of Electricity -
LCOE), in generale, maggiori dell’energia prodotta da fonti fossili tradizionali.
Ciò è dovuto in parte al basso capacity
factor di questo tipo di tecnologie (soprattutto se gli impianti sono
ubicati in maniera sub-ottimale). Per chi se lo stesse chiedendo, il capacity factor è il rapporto tra la
produzione annua effettiva e la produzione teorica ottenibile se l’impianto
lavorasse ogni ora dell’anno al massimo della sua capacità. Non sfugga il
dettaglio che tale capacity factor è
basso anche a causa di una scelta non ottimale della localizzazione
dell’impianto (ad esempio perché la scelta dell’ubicazione è fatta in funzione
della rete di trasmissione esistente). Incrementando l’utilizzo di tecnologie
con alti costi di produzione, aumenterebbero di conseguenza i costi generali di
tutto il sistema elettrico.
Ricapitoliamo i pezzi del puzzle:
energia solare, energia eolica, localizzazione degli impianti, capacity factor, costi di produzione, costi
di sistema, infrastrutture di rete. Il problema è ricomporre questo puzzle
trovando la soluzione ottimale, cioè tale da massimizzare la produzione da
Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) e contemporaneamente minimizzare i costi di
sistema. Questo è quello che ha provato a fare un team di ricercatori del NOAA
e dell’Università del Colorado, in USA: i risultati delle loro ricerche sono
stati pubblicati da poco su Nature.
In premessa, lo studio*
evidenzia che negli Stati Uniti non c’è un sistema elettrico unico, quanto
piuttosto diversi sistemi regionali interconnessi, gestiti però in maniera
autonoma l’uno dall’altro. Altro elemento peculiare degli Stati Uniti è l’ampia
estensione territoriale, che comprende quindi sia ampie zone ottimali per la
produzione fotovoltaica, sia altrettanto ampie zone ottimali per la produzione
eolica.
Secondo lo studio, le
infrastrutture di rete andrebbero decisamente sviluppate, creando un sistema
unico nazionale costituito da collegamenti HVDC, che rispetto alle reti HVAC
consentono una più agevole trasmissione dell’energia sulle lunghe distanze. In
questo modo, si riuscirebbe a sfruttare in maniera ottimale la produzione da
FER: infatti la variabilità e l’intermittenza di tali produzioni si riduce
all’aumentare dell’area territoriale coperta dalla rete di collegamento. Con un
efficiente sistema unico di trasmissione su tutto il territorio degli USA, si
riuscirebbe quindi ad attenuare fortemente tale intermittenza, ottenendo, utilizzando
termini più affascinanti, una de-correlazione temporale delle produzioni da
FER. A tale ridotta variabilità si aggiungerebbe la scelta ottimale della
localizzazione degli impianti, finalizzata ad ottenere i più alti capacity
factor possibili. Ecco che il puzzle (almeno teoricamente) è risolto:
sfruttamento massimo delle FER grazie alla ridotta intermittenza su ampia scala
geografica e minimizzazione dei costi grazie all’ottimale localizzazione degli
impianti.
I ricercatori hanno elaborato un
complesso modello di simulazione/ottimizzazione, partendo da un’estesa base pluriennale
di dati metereologici orari, aventi la risoluzione territoriale di una griglia
con celle di 13 km di lato. In questo modo sono stati ottenuti i valori di capacity factor per ogni cella della
griglia territoriale, individuando così le aree potenzialmente ottimali per
l’installazione di impianti FV ed eolici (vedi figura 1).
Obiettivo del modello è stato
quello di individuare lo schema della rete di trasmissione e dell’ubicazione di
impianti FER e tradizionali che fosse ottimale sia dal punto di vista
ambientale (riduzione della CO2), sia dal punto di vista dei costi
(minimizzazione costi di sistema), e sia dal punto di vista della gestione in
sicurezza del sistema elettrico (dispacciamento degli impianti).
Nel modello sono stati inseriti i
possibili trend della domanda elettrica e gli scenari di evoluzione dei costi
delle tecnologie e del gas, e sono stati considerati molti vincoli, come
l’esclusione di aree protette e urbanizzate per l’installazione di impianti FV
o eolici, la costruzione di nuovi impianti nucleari o fossili solo in
corrispondenza di siti già esistenti, ecc. Ovviamente un tale modello,
nonostante la sua complessità, ha dovuto prevedere varie semplificazioni: non è
considerato il pompaggio idroelettrico, le tecnologie di produzione ancora in
fase di sviluppo (CSP, moto ondoso, geotermico), le tecnologie di storage.
Sono stati considerati tre scenari evolutivi al
2030: High-cost Renewables Low-cost Gas
(HRLG), Low-cost Renewables High-cost Gas (LRHG), Mid-cost Renewables Mid-cost
Gas (MRMG). Le emissioni di CO2, secondo il modello, con
le tecnologie attuali potrebbero essere ridotte del 33% (HRLG), del 61% (MRMG)
e addirittura del 78% (LRHG) rispetto ai livelli del 1990. Il tutto mantenendo
un costo medio LCOE di sistema in linea con quello del 2012: 8.6 c$/kWh
(HRLG), 10,2 c$/kWh (MRMG), 10,0 c$/kWh (LRHG), rispetto ai 9,8 c$/kWh
del 2012.
Inoltre, un migliore sfruttamento
delle fonti rinnovabili avrebbe un ulteriore
effetto di decarbonizzazione sull’economia in generale, tramite
l’utilizzo delle elettro-tecnologie attualmente esistenti (pompe di calore,
veicoli elettrici, cucine a induzione).
Gli autori sottolineano che nello
scenario migliore (LRHG) i risparmi annui totali di questo sistema di
trasmissione unico rispetto agli attuali sistemi regionali sarebbe pari a 47
mld di dollari, cioè circa il triplo del costo annuo dell’infrastruttura di
rete HVDC ipotizzata. Mi permetto di evidenziare che, probabilmente non a caso,
gli autori non riportano quali sarebbero i risparmi annui negli altri due
scenari, forse perché, in effetti, il costo annuo della rete HVDC sarebbe
maggiore.
Le figure seguenti, tratte
dall’articolo pubblicato su Nature, sintetizzano i risultati ottenuti.
Una domanda però mi rimane: come
si potrebbe tradurre e perseguire in pratica la localizzazione ottimale degli
impianti prevista dal modello e riportata in figura 3? Escludendo la totale
nazionalizzazione/monopolizzazione, lo Stato dovrebbe elaborare meccanismi tali
da guidare in maniera molto precisa l’installazione dei nuovi impianti solo
nelle aree geografiche previste al fine di un’ottimizzazione di sistema.
Compito molto molto difficile, secondo me. Di sicuro, però, lo storage di energia elettrica non sembra
l’unica strada da percorrere verso una completa integrazione delle FER nel
sistema, parallelamente al miglior sfruttamento della loro produzione e
mantenendo alti i livelli di sicurezza della rete.
Sulla difficoltà di mettere in
pratica tutto questo, anche gli stessi autori dello studio sono d’accordo: ma con
il tipico spirito ottimista americano, che condivido pienamente anch’io,
ricordano che la sfida per la creazione di un sistema elettrico unico nazionale
è simile ad altri progetti (portati a termine) di infrastrutturazione
nazionale, come le ferrovie transcontinentali nell’800 o le autostrade interstatali
nel ‘900. Adesso è giunto il turno del sistema elettrico. Staremo a vedere.
*Future
cost-competitive electricity systems and their impact on US CO2 emissions,
Alexander E. MacDonald, Christopher T. M. Clack, Anneliese Alexander, Adam
Dunbar, James Wilczak & Yuanfu Xie. Nature Climate Change (2016)
doi:10.1038/nclimate2921
Nessun commento:
Posta un commento