venerdì 26 febbraio 2016

Il puzzle del sistema elettrico tra rinnovabili, reti, costi e CO2

Per raggiungere la famosa decarbonizzazione del settore energetico e, più in generale, dell’economia di un Paese, le infrastrutture elettriche di rete sono fondamentali. Infatti, l’integrazione nel sistema delle fonti rinnovabili, e soprattutto della produzione da fonti rinnovabili non programmabili (come il sole e il vento), ha necessariamente bisogno di adeguate infrastrutture di rete. Ciò al fine di permettere l’ottimale sfruttamento della produzione elettrica da tali fonti ed evitare sprechi dovuti a insufficiente (o inesistente) magliatura di rete. Una rete magliata e sviluppata in maniera ottimale potrebbe anche rendere meno necessario il ricorso ai costosi (per ora) sistemi di storage.
I precedenti concetti sono piuttosto noti, e si adattano perfettamente a famose situazioni italiane, come il “famoso caso del Sorgente-Rizziconi”, ovvero il raddoppio del cavo di collegamento tra Sicilia e Calabria, che permetterebbe di sfruttare molto meglio la produzione rinnovabile (e non solo) sia in Sicilia che in tutto il Sud Italia. Ma questa è un’altra storia.
Come si diceva, per decarbonizzare il settore energetico, ovviamente si può ricorrere alla produzione di energia da fonti rinnovabili: tal energia (soprattutto l’energia solare ed eolica) ha però costi di produzione (Levelised Cost Of Electricity - LCOE), in generale, maggiori dell’energia prodotta da fonti fossili tradizionali. Ciò è dovuto in parte al basso capacity factor di questo tipo di tecnologie (soprattutto se gli impianti sono ubicati in maniera sub-ottimale). Per chi se lo stesse chiedendo, il capacity factor è il rapporto tra la produzione annua effettiva e la produzione teorica ottenibile se l’impianto lavorasse ogni ora dell’anno al massimo della sua capacità. Non sfugga il dettaglio che tale capacity factor è basso anche a causa di una scelta non ottimale della localizzazione dell’impianto (ad esempio perché la scelta dell’ubicazione è fatta in funzione della rete di trasmissione esistente). Incrementando l’utilizzo di tecnologie con alti costi di produzione, aumenterebbero di conseguenza i costi generali di tutto il sistema elettrico.
Ricapitoliamo i pezzi del puzzle: energia solare, energia eolica, localizzazione degli impianti, capacity factor, costi di produzione, costi di sistema, infrastrutture di rete. Il problema è ricomporre questo puzzle trovando la soluzione ottimale, cioè tale da massimizzare la produzione da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) e contemporaneamente minimizzare i costi di sistema. Questo è quello che ha provato a fare un team di ricercatori del NOAA e dell’Università del Colorado, in USA: i risultati delle loro ricerche sono stati pubblicati da poco su Nature.
In premessa, lo studio* evidenzia che negli Stati Uniti non c’è un sistema elettrico unico, quanto piuttosto diversi sistemi regionali interconnessi, gestiti però in maniera autonoma l’uno dall’altro. Altro elemento peculiare degli Stati Uniti è l’ampia estensione territoriale, che comprende quindi sia ampie zone ottimali per la produzione fotovoltaica, sia altrettanto ampie zone ottimali per la produzione eolica.
Secondo lo studio, le infrastrutture di rete andrebbero decisamente sviluppate, creando un sistema unico nazionale costituito da collegamenti HVDC, che rispetto alle reti HVAC consentono una più agevole trasmissione dell’energia sulle lunghe distanze. In questo modo, si riuscirebbe a sfruttare in maniera ottimale la produzione da FER: infatti la variabilità e l’intermittenza di tali produzioni si riduce all’aumentare dell’area territoriale coperta dalla rete di collegamento. Con un efficiente sistema unico di trasmissione su tutto il territorio degli USA, si riuscirebbe quindi ad attenuare fortemente tale intermittenza, ottenendo, utilizzando termini più affascinanti, una de-correlazione temporale delle produzioni da FER. A tale ridotta variabilità si aggiungerebbe la scelta ottimale della localizzazione degli impianti, finalizzata ad ottenere i più alti capacity factor possibili. Ecco che il puzzle (almeno teoricamente) è risolto: sfruttamento massimo delle FER grazie alla ridotta intermittenza su ampia scala geografica e minimizzazione dei costi grazie all’ottimale localizzazione degli impianti.
I ricercatori hanno elaborato un complesso modello di simulazione/ottimizzazione, partendo da un’estesa base pluriennale di dati metereologici orari, aventi la risoluzione territoriale di una griglia con celle di 13 km di lato. In questo modo sono stati ottenuti i valori di capacity factor per ogni cella della griglia territoriale, individuando così le aree potenzialmente ottimali per l’installazione di impianti FV ed eolici (vedi figura 1).


Obiettivo del modello è stato quello di individuare lo schema della rete di trasmissione e dell’ubicazione di impianti FER e tradizionali che fosse ottimale sia dal punto di vista ambientale (riduzione della CO2), sia dal punto di vista dei costi (minimizzazione costi di sistema), e sia dal punto di vista della gestione in sicurezza del sistema elettrico (dispacciamento degli impianti).
Nel modello sono stati inseriti i possibili trend della domanda elettrica e gli scenari di evoluzione dei costi delle tecnologie e del gas, e sono stati considerati molti vincoli, come l’esclusione di aree protette e urbanizzate per l’installazione di impianti FV o eolici, la costruzione di nuovi impianti nucleari o fossili solo in corrispondenza di siti già esistenti, ecc. Ovviamente un tale modello, nonostante la sua complessità, ha dovuto prevedere varie semplificazioni: non è considerato il pompaggio idroelettrico, le tecnologie di produzione ancora in fase di sviluppo (CSP, moto ondoso, geotermico), le tecnologie di storage.
Sono stati considerati tre scenari evolutivi al 2030: High-cost Renewables Low-cost Gas (HRLG), Low-cost Renewables High-cost Gas (LRHG), Mid-cost Renewables Mid-cost Gas (MRMG). Le emissioni di CO2, secondo il modello, con le tecnologie attuali potrebbero essere ridotte del 33% (HRLG), del 61% (MRMG) e addirittura del 78% (LRHG) rispetto ai livelli del 1990. Il tutto mantenendo un costo medio LCOE di sistema in linea con quello del 2012: 8.6 c$/kWh (HRLG), 10,2 c$/kWh (MRMG), 10,0 c$/kWh (LRHG), rispetto ai 9,8 c$/kWh del 2012.
Inoltre, un migliore sfruttamento delle fonti rinnovabili avrebbe un ulteriore  effetto di decarbonizzazione sull’economia in generale, tramite l’utilizzo delle elettro-tecnologie attualmente esistenti (pompe di calore, veicoli elettrici, cucine a induzione).
Gli autori sottolineano che nello scenario migliore (LRHG) i risparmi annui totali di questo sistema di trasmissione unico rispetto agli attuali sistemi regionali sarebbe pari a 47 mld di dollari, cioè circa il triplo del costo annuo dell’infrastruttura di rete HVDC ipotizzata. Mi permetto di evidenziare che, probabilmente non a caso, gli autori non riportano quali sarebbero i risparmi annui negli altri due scenari, forse perché, in effetti, il costo annuo della rete HVDC sarebbe maggiore.
Le figure seguenti, tratte dall’articolo pubblicato su Nature, sintetizzano i risultati ottenuti.






Una domanda però mi rimane: come si potrebbe tradurre e perseguire in pratica la localizzazione ottimale degli impianti prevista dal modello e riportata in figura 3? Escludendo la totale nazionalizzazione/monopolizzazione, lo Stato dovrebbe elaborare meccanismi tali da guidare in maniera molto precisa l’installazione dei nuovi impianti solo nelle aree geografiche previste al fine di un’ottimizzazione di sistema. Compito molto molto difficile, secondo me. Di sicuro, però, lo storage di energia elettrica non sembra l’unica strada da percorrere verso una completa integrazione delle FER nel sistema, parallelamente al miglior sfruttamento della loro produzione e mantenendo alti i livelli di sicurezza della rete.
Sulla difficoltà di mettere in pratica tutto questo, anche gli stessi autori dello studio sono d’accordo: ma con il tipico spirito ottimista americano, che condivido pienamente anch’io, ricordano che la sfida per la creazione di un sistema elettrico unico nazionale è simile ad altri progetti (portati a termine) di infrastrutturazione nazionale, come le ferrovie transcontinentali nell’800 o le autostrade interstatali nel ‘900. Adesso è giunto il turno del sistema elettrico. Staremo a vedere.


*Future cost-competitive electricity systems and their impact on US CO2 emissions, Alexander E. MacDonald, Christopher T. M. Clack, Anneliese Alexander, Adam Dunbar, James Wilczak & Yuanfu Xie. Nature Climate Change (2016) doi:10.1038/nclimate2921

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