Oggi propongo un mio breve articolo che è stato pubblicato sul sito industriaenergia.it qualche giorno fa (clicca qui per il link).
La tematica dell'acqua è una delle mie passioni, e quindi anche saperne un pò di più sui consumi di acqua legati alla "famigerata" tecnica di perforazione chiamata "hydrofacking" risulta piuttosto interessante.
Buona lettura.
Imparare dalle esperienze passate e cercare di trarne il miglior insegnamento possibile.
Oltre ad essere un buon adagio da tenere sempre presente, questo è il concetto alla base del rapporto “Water and Shale gas development – Leveraging the US experience in new shale develoments”, pubblicato recentemente da Accenture.
Secondo il World Energy Outlook 2012, gli USA grazie allo shale-gas dovrebbero arrivare nel 2015 a diventare il primo produttore al mondo di gas naturale, sopravanzando la Russia. Per questo motivo, risulta interessante analizzare le esperienze che questo paese ha affrontato e continua ad affrontare dal punto di vista ambientale. Lo sfruttamento dello shale gas viene effettuato tramite una tecnologia di perforazione, detta “hydraulic fracking”, che, come si può capire dalla parola, comporta l’utilizzo di acqua. Molta acqua: il rapporto infatti, alle prime pagine, definisce la produzione di shale-gas come “highly water intensive”.
Il problema del consumo di acqua a scopo energetico è tutt’altro che marginale, tanto più se si considera che la IEA nel suddetto WEO 2012 ha inserito per la prima volta una sezione speciale denominata “Water for energy”, che contiene, tra l’altro, delle schede sui principali regional stress points: USA, Canada, Cina e India. I primi tre, guarda caso, sono proprio quelli con le più grandi riserve mondiali di shale-gas e tight-oil.
Nel rapporto vengono analizzate le principali aree di interesse relative al consumo di acqua per il processo di sfruttamento: la normativa, le tecnologie per il trattamento delle acque e le problematiche logistiche ed ambientali connesse al trasporto delle acque stesse. Sebbene una parte delle acque sia infatti riutilizzata, per tutta una serie di operazioni c’è ancora una forte necessità di acque “vergini”, che vanno quindi trasportate fino ai pozzi di estrazione del gas. Molto interessanti anche i focus su alcuni paesi considerati probabili prossimi sfruttatori di shale gas, viste le loro ingenti riserve: Argentina, Cina, Polonia e Sud Africa.
Sulla base di tutte queste considerazioni, il rapporto elabora delle lesson learned, che, come detto, potrebbero tornar utili a legislatori ed operatori del settore:
1. La raccolta e gestione dei dati riguardanti la gestione delle acque è un punto critico che va pianificato bene in tempo per evitare complicazioni burocratiche e aumento dei costi di sistema;
2. C’è la necessità di trovare un giusto equilibrio tra legislazione nazionale e regolamentazione locale, la quale può essere ottimizzata in funzione delle specifiche dell’area e delle tipologie di shale gas presente;
3. Lo scenario dello shale gas sta evolvendo rapidamente, quindi gli organismi regolatori non devono rimanere indietro, ma piuttosto essere efficienti, per poter guidare in maniera efficace e coerente gli operatori del settore;
4. Poiché i problemi e le soluzioni per il trattamento delle acque sono fortemente sito-specifiche, la condivisione tra diversi player che operano nella stessa area potrebbe contribuire significativamente per diffondere le best practices.
5. Le compagnie che oggi investono in soluzioni innovative per la gestione ed il trattamento delle acque, avranno un consistente vantaggio competitivo nel lungo termine, quando ci sarà un contesto regolatorio più stringente o una minore disponibilità di acque.
6. I modelli di gestione delle operazioni logistiche per la movimentazione delle acque avranno un impatto crescente sulle congestioni stradali e sulle efficienze di tutto il sistema.
Per finire il rapporto fa notare che il vero driver che guiderà lo sviluppo delle tecnologie per il trattamento e riutilizzo delle acque di processo è il prezzo del gas: con prezzi alti, gli operatori avranno più capitali da investire in questo tipo di iniziative, che saranno giustificate anche da un maggiore ritorno dal punto di vista dei costi di approvvigionamento di acque “vergini”.
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