venerdì 21 marzo 2014

World Water Day, IEA shares in-depth analysis of energy sector’s use

The energy sector already accounts for about 15% of the world’s total water use, so for World Water Day, on 22 March, the International Energy Agency (IEA) is sharing its most detailed analysis of the sector’s impact on water resources.

“Water for Energy: Is energy becoming a thirstier resource?”, a chapter from the IEA World Energy Outlook 2012 (WEO-2012), is now available for free on the IEA website. The analysis reveals how much water is used by various energy processes and assesses the sector’s vulnerabilities as rising population and growing economies constrain water resources around the globe.

“Water availability is a growing concern for energy, and assessing the energy sector’s use of water is important in an increasingly water-constrained world,” IEA Executive Director Maria van der Hoeven said. “The IEA’s in-depth analysis of the nexus of water and energy can help countries identify ways to use water most effectively and efficiently in energy production and consumption. Now the IEA is sharing that expertise with everyone.”

Water is critical for electricity generation as well as the extraction, transport and processing of fossil fuels, even the irrigation of crops that go into biofuels. Water shortages in India and the United States, among other countries, have limited energy output in the past two years, while the heavy use of water in unconventional oil and gas production has generated considerable public concern.

Moreover, the energy sector’s water needs are set to grow, making water an increasingly important criterion for assessing the viability of energy projects. In some regions, water constraints are already affecting the reliability of existing operations and they will introduce additional costs. The IEA analysis draws on the WEO-2012’s central policy scenario to show that expanding power generation and biofuels output underpins an 85% increase in the amount consumed (the volume of water that is not returned to its source after use) through to 2035.

“Since water and energy are essential resources, we need to find ways to ensure that use of one does not limit access to the other.  As demand for both continues to increase, this will be a growing challenge and priority,” Ms. Van der Hoeven emphasised.

To download the WEO-2012 excerpt "Water for Energy: Is energy becoming a thirstier resource?", please click here.

From iea.org

Pietro Mennea, l'eroe (umile) di un'Italia che viveva di traguardi

Un anno fa moriva Pietro Mennea, "La freccia del Sud".
Sara Caspani de ilsussidiario.net lo ricorda così.

Buona lettura.

A un anno dalla sua scomparsa lo ritroviamo alla linea dei 200 metri, Pietro Mennea, chino sui blocchi di partenza. Siamo a Barletta, 1965: un ragazzino smilzo del Sud ha cominciato a correre sfidando le macchine della cittadina, e straordinariamente riesce ad uscirne vincitore ogni volta. Non interessano ancora le distanze, le prime settimane di attività Pietro le spende addirittura come marciatore, diretto poi alla velocità dopo esser stato visto aggredire la salita di Porta Marina a Barletta senza mai cedere, come in apnea.
Gli allenamenti si svolgono su una pista malmessa, l'unica allora disponibile, senza grandi attrezzature. Il dono di allenarsi su quei campi ha permesso di potenziare i muscoli e di correre con una motivazione profonda, quasi di stampo sociale. Perché nessun campione può nascere da un atleta che non voglia diventarlo o che non abbia motivazioni per esserlo. Lo storico allenatore Carlo Vittori legge nella corsa di quel ragazzino introverso la potenza antica dei grandi atleti che spesso si cela nei muscoli non ancora formati. Così Pietro si allontana, scatta dai blocchi davanti ai nostri occhi, ed entra nel Centro Federale di Formia, dove sono solo lui e la pista. Una pista che saluta alla mattina entrando e la sera uscendone, come un appuntamento tra innamorati. «Non è un sacrificio eccessivo?» gli chiedono spesso i giornalisti, «No, mi piace da morire» è la risposta fissa.
I primi 100 metri sono sempre stati i più sofferti per l'atleta barlettano e per correrli ci sono voluti ogni anno 350 giorni di allenamento: un culto del sacrificio che rese Mennea campione di preparazione, prima che di pista. Un uomo capace di sostenere la solitudine, con la volontà quale unico mezzo per vincere i muscoli di fattura sovietica e statunitense. L'atletica italiana di quegli anni ha avuto questo come distintivo: magari senza l'abito adatto, portava la nobiltà umile di battersi fino all'ultimo metro. «Il nostro carattere è come un diamante, è una pietra durissima ma ha un punto di rottura». Tutta la preparazione stava nel temprare quell'unico punto: «La fatica non è mai sprecata, soffri ma sogni». Gli allenamenti di Pietro arrivavano a contare 25 ripetute di 60 metri e 10 di 150 metri, che per chi se ne intende significa finire con i muscoli così carichi di acido lattico che stare in piedi risulta quasi impossibile.
Lo rivediamo percorrere la curva dei 200 metri di Città del Messico 1979,in settima corsia dopo 11 anni dal record del tanto stimato campione Tommy Smith. Mennea ruba il tempo che lo renderà primatista del mondo con un esorbitante 19"72, risultato commentato con le lacrime agli occhi: «Questo sport è umile e io sono partito con umiltà».

mercoledì 12 marzo 2014

Venite a vedere il sangue per le strade - Luis Sepulveda

10 anni fa, l'11 marzo 2004, avveniva l'attentato terroristico di Madrid.
All'indomani Luis Sepulveda scrisse un articolo di grande dolore (e non solo) su tutto quello che stava accadendo nel mondo.
Nel finale si accenna anche al "sorriso infame di un buffone italiano".

Buona lettura. Riposino in Pace.

Venite a vedere il sangue per le strade di Madrid. Erano donne, uomini, bambini, anziani, la semplice e pura umanità che cominciava un altro giorno, un giorno di lavoro, di sogni, di speranze, senza sapere che la volontà assassina di qualche miserabile aveva deciso che fosse l'ultimo. 
Venite a vedere il sangue per le strade di Madrid, questa città amata in cui tutti arrivano e tutti sono benvenuti. 

Venite a vedere gli appunti, i libri, le cose sparse fra i resti del massacro. Venite a vedere un giorno morto e il dolore di una società che ha gridato mille volte il suo diritto di vivere in pace. Scrivo queste righe mentre ascolto i notiziari e posso solo pensare alla tristezza delle aule, delle tavole, delle case a cui non ritorneranno più quelle centinaia di cittadini, di fratelli e sorelle le cui vite sono state stroncate in un miserabile atto di odio, perché l'unico obiettivo del terrorismo è l'odio contro l'umanità, perché non c'è causa che possa giustificare l'assassinio collettivo, perché non esiste idea che valga un genocidio, perché non esiste giustificazione alcuna di fronte alla barbarie. 

Venite a vedere il sangue per le strade di Madrid, assassini, e verificate che sebbene è certo che ci avete sprofondato nel dolore, lo è altrettanto che con questo crimine inqualificabile una volta di più non avete conseguito nulla. Il valore dei madrileni che immediatamente si sono riversati a soccorrere i feriti, a donare il sangue, a facilitare il lavoro delle forze di sicurezza e di salvataggio, è stata l'immediata risposta morale di una città fraterna, di una cittadinanza responsabile e solidale. 

Mentre scrivo queste righe so che gli assassini stanno nelle loro tane, nei loro ultimi nauseabondi nascondigli perché non ci sarà luogo sulla o dentro la terra dove possano nascondersi e sfuggire al castigo di una società ferita. So che guardano la televisione, ascoltano la radio, leggono i giornali per misurare i risultati della loro codardia, l'infame bilancio di un atto che ripugna e che ha trovato solo la condanna dell'umanità intera. 

Venite a vedere il sangue per le strade di Madrid, venite a vedere il giorno inconcluso, venite a vedere il dolore che lascia allibiti, a sentire come l'aria di un inverno che si ritira porta il «perché?» per i parchi amorosi, le fabbriche, i musei, le università e le strade di una città il cui unico modo di essere è e sarà sempre l'ospitalità. Assassini; la vostra zampata d'odio ci ha causato una ferita che non si chiuderà mai, però siamo più forti di voi, siamo meglio di voi, e l'orrore non interromperà né piegherà quella normalità civica, cittadina, democratica che è il nostro bene più prezioso e il migliore dei nostri diritti. 

Venite a vedere il sangue per le strade di Madrid, anche il cinismo di quelli che hanno provato a lucrare sul dolore di tutti, di quelli che manipolano le lacrime e la disperazione, di quelli che non vedono orfani, vedove, esseri mutilati ma solo voti. 

Venite a vedere il sangue per le strade di Madrid, di questa città che ha gridato «pace» con voce unanime, e il suo grido è stato ignorato da un servo dell'imperialismo nordamericano, da un lacché del signore della guerra che pretende di governare il mondo, ed è solo riuscito a portare l'orrore in Europa. 

Venite a vedere il sangue per le strade di Madrid, il lavoro sereno di medici e infermiere, il gesto triste dei governanti solitari, e anche il sorriso infame di un buffone italiano, l'unico al mondo ad assecondare Aznar con le sue menzogne. 


Venite a vedere il sangue per le strade di Madrid, bagnateci le vostre mani e scrivete «pace» su tutti i muri della terra.

martedì 4 marzo 2014

Diplomazia l'unica arma dell'Europa

Articolo tratto oggi dal Sole24Ore, interessante analisi di cui condivido le considerazioni.
Scritto da Carlo Bastasin e di cui si può trovare l'originale cliccando qui.

Buona lettura.

Rispondere a Vladimir Putin con le sue stesse armi, sarebbe per l'Europa un modo veloce, diretto e completamente sbagliato. Prendendo controllo della Crimea, Putin ha violato con arroganza le leggi internazionali. Ma il suo potere nel confronto militare è maggiore di quello che può esercitare sul piano diplomatico. È al tavolo negoziale che va esposta la sua debolezza, inclusa quella economica mostrata ieri dai mercati. È lì che l'Europa può imporre il rafforzamento della democrazia in Ucraina, svalutando di riflesso l'autocrazia di Mosca. Non con minacce di missili o di dure sanzioni, come piace ai più radicali a Washington, ma seminando il virus democratico ai confini della Russia.

Ogni volta che i cingoli solcano il terreno, cadiamo preda di un riflesso automatico che stigmatizza come debole o tardiva la ricerca europea di soluzioni diplomatiche. L'esperienza delle primavere arabe giustifica molti pregiudizi. Ma questa volta la cancelliera Merkel, promotrice di un approccio sia di condanna sia di mediazione attraverso un "gruppo di contatto" – che contrasta con la tentazione americana di isolare Mosca - ha ragione e bene ha fatto il governo italiano a capirlo e a sostenerlo.

A Obama, Merkel avrebbe detto che Putin si esprime come se vivesse in una diversa realtà in cui il rispetto si misura in munizioni da sparare. È proprio così ma è una realtà con cui fare i conti: un mondo diviso in aree di influenza in cui Mosca, includendo l'Ucraina, controllerebbe "Eurasia", da contrapporre sia alla Ue sia alle potenze asiatiche. Un tale blocco non democratico ai confini rappresenterebbe una minaccia per l'Europa. Ma a ben vedere proprio l'intervento militare di questi giorni manda in frantumi la strategia di Putin.

Non potrà esserci un'Eurasia stabile se Mosca la può imporre solo dividendo l'Ucraina con le armi. La partita politica è stata già persa da Putin con la cacciata di Yanukovich. Per l'Ue portare subito al negoziato il leader del Cremlino sancirebbe il fallimento del suo piano pericoloso. Mosca inoltre è vulnerabile alle sanzioni economiche, come i riflessi finanziari della crisi hanno mostrato ieri. E questo consente di privilegiare la minaccia di sanzioni economiche alla strategia dell'isolamento politico. Politicamente infatti è proprio nell'isolamento, invocato con vari gradi di bellicosità da Capitol Hill, che Putin costruisce la propria influenza diplomatica fino a determinare paradossalmente le sorti degli interventi americani in Siria o le trattative con l'Iran e con altre aree critiche in cui la presa diplomatica occidentale è debole.

Ora, pur dialogando, l'Europa deve puntare direttamente alla costruzione di istituzioni democratiche a Kiev. Decine di migliaia di ucraini sono scesi in piazza pronti a dare la loro vita per quelli che considerano valori europei: la capacità di autogovernarsi, di esprimere liberamente il proprio pensiero e di determinare da sé il futuro dei propri figli. Tutto ciò richiede istituzioni di governo occidentali che la rivoluzione arancione non era riuscita a costruire. In quel vuoto si era riaperta la porta a Yanukovich. Il completamento del percorso democratico a Kiev è la contropartita che l'Europa deve ora imporre a fronte degli aiuti finanziari e di un accordo sulle regioni di confine che consenta a Putin di rinfoderare i muscoli. Isolare posizioni estremiste a Kiev è di comune interesse, così come condividere l'importanza economica dell'Ucraina.

Difendere la democrazia in Ucraina è però il vero compito esistenziale. In particolare alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo. Quale significato avrebbe altrimenti votare nell'Unione europea a maggio? E quale miglior modo per svuotare i sentimenti anti-europei nei nostri Paesi? La crisi ucraina infatti interroga l'Europa nel suo profondo. La minaccia di Kiev in mano russa risolleva le paure dell'Est europeo e Bruxelles deve evitare che si ripeta la frattura tra "vecchia e nuova Europa" evocata da Rumsfeld ai tempi dell'invasione in Iraq. Proprio dall'allargamento a Est, l'Europa pensava a se stessa come a un potere "trasformativo", diverso dall'hard power americano, in grado di attrarre pacificamente ai valori occidentali Paesi privi di esperienza democratica con la sola prospettiva di ingresso nell'Ue o di accesso ai suoi mercati. La logica era coerente con una visione positiva della globalizzazione.

Poi con la crisi europea e la vivacità delle autocrazie emergenti, è cresciuto il dubbio che l'Europa anziché artefice, fosse vittima del potere trasformativo degli interessi economici in Russia o in Cina. Ora in Ucraina, forza e instabilità, dei Paesi emergenti, finora ristretti alla finanza, assumono per la prima volta un'inedita dimensione militare. Risolvere la crisi, evitando lo scontro ma promuovendo le istituzioni democratiche può cambiare la storia dei prossimi decenni, quando gli analisti americani già danno per certe crisi strategiche attorno alla Cina, e restituire all'Europa il coraggio di sé.