martedì 17 febbraio 2015

La guerra in Libia è un regalo al califfo - Lucio Caracciolo (LIMES)

Interessantissima analisi di Lucio Caracciolo (LIMES) della situazione in Libia e degli scenari di intervento.

Buona lettura.

Una campagna militare di crociati e apostati: al-Baghdadi non potrebbe chiedere di più. Senza assecondare l'avventurismo di chi dimentica il nostro passato coloniale, l'Italia può fare qualcosa contro i jihadisti della Quarta sponda.

Il “califfo” al-Baghdadi non potrebbe sperare di meglio: l’invasione armata di ciò che resta della Libia, condotta da ”crociati” (italiani, francesi e altri europei) e “apostati corrotti” (egiziani più arabi e africani vari). 

Eppure del nuovo sbarco sulla quarta sponda si discetta nelle cancellerie europee e nei palazzi dei monarchi e delle giunte militari arabe, con il discreto ma pressante incoraggiamento americano. Una operazione di controguerriglia da sviluppare su un territorio largamente desertico grande sei volte l’Italia, in totale caos geopolitico, dove si affrontano decine di bande e milizie di vario colore e appartenenza etnica, locale o regionale, tutte armate fino ai denti.

Una campagna che in teoria si presenta non dissimile dalle guerre sovietica o americana in Afghanistan, solo in un contesto molto più confuso e senza i mezzi delle superpotenze. Ma con la stessa carenza di obiettivi chiari e perseguibili. 

Perché, contrariamente a quanto affermano i suoi portavoce, lo Stato Islamico non sta conquistando la Libia. Semmai, alcune fazioni che continuano a massacrarsi senza pace usano il marchio “califfale” in franchising, per ottenere visibilità e attirare reclute. 

In ogni caso, per una spedizione oltremare toccherebbe esibire una bandiera Onu autorizzata dal Consiglio di Sicurezza - percorso non scontato - in modo da vestirla da “operazione di pace”. Come ha avvertito il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, l’Italia «è pronta a combattere, naturalmente nel quadro della legalità internazionale». 

Stavolta però la foglia di fico onusiana non potrebbe mascherare la natura della guerra: non c’è nessuna pace da preservare, nemmeno in embrione. Non basta: il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha annunciato che Roma aspira a guidare l’agognata missione schierando un contingente di cinquemila uomini. In effetti, più che di soldati avremmo bisogno di carri armati (Rommel docet), che non abbiamo: quelli davvero efficienti si contano sulle dita delle mani o poco più. 

Peggio, sembra che alcuni esponenti del governo abbiano persa la memoria del nostro passato coloniale in Tripolitania e in Cirenaica. Certo non l’hanno dimenticato i libici. «Tutto ciò cui aspiriamo è avere di nuovo gli italiani qui fra le mani», ha twittato uno dei più seguiti blogger di Misurata, nemmeno fra i più radicali. Per vendicare Omar al-Mukhtar e i suoi gloriosi martiri. 

Quattro anni dopo aver partecipato controvoglia, su uno strapuntino dell’ultimo minuto, alla liquidazione franco-britannica di Gheddafi (e della Libia), adesso rischiamo dunque di tornarci in pompa magna, per ritessere la tela che abbiamo strappato. A supportare le ambizioni egiziane sulla Cirenaica e gli interessi francesi nel Fezzan. 

Invece del Colonnello, con cui flirtammo per quattro decenni, lavoreremmo stavolta per un sedicente generale dalle ambigue credenziali, Khalifa Heftar, appoggiato da egiziani, sauditi, emiratini e altri petromonarchi del Golfo. Il quale ha saputo abilmente intestarsi la “guerra al terrorismo” (sezione libica), certificato di qualità ad uso dei governi e delle opinioni pubbliche occidentali meno avvertite, utile a legittimare l’eliminazione dei propri avversari - in questo caso anzitutto le milizie di Misurata e altri gruppi presuntamente “islamisti”. 

Puro avventurismo geopolitico, che fra l’altro significherebbe esporci gratuitamente al terrorismo jihadista sul nostro territorio molto più di quanto non lo si sia adesso. A rimettere ordine nel dibattito pubblico alimentato dai suoi stessi ministri ha pensato Matteo Renzi, avvertendo che «non è tempo per una soluzione militare». Il nostro premier ha preso tempo: meglio “aspettare l’Onu”. E ha correttamente osservato: «In Libia non c’è un’invasione dello Stato Islamico, ma alcune milizie che combattevano lì hanno iniziato a fare riferimento a loro». 

Renzi mostra così di non voler cadere nella trappola della propaganda del “califfo”, che si annuncia “a sud di Roma”. E, se volessimo davvero combattere lo Stato Islamico, potremmo attaccarlo dove effettivamente si trova, fra Siria e Iraq. Non risulta però che i nostri piloti siano autorizzati a colpirlo. 

Ma qualcosa si può e si deve fare. Prima di tutto, non accendere nuovi focolai di guerra senza speranza di vincerla. Poi, usare le leve finanziarie di cui ancora disponiamo per bloccare i flussi di denaro che arrivano ai gruppi armati - operazione tutt’altro che impossibile. In terzo luogo, colpire i traffici che alimentano i miliziani, compresi i jihadisti che fanno riferimento allo Stato Islamico. Tra Iraq e Siria gli americani hanno bombardato con qualche successo raffinerie e impianti controllati dal “califfato”. 

In Libia le Marine occidentali potrebbero affondare, prima che partano, le barche con cui i mercanti di essere umani attraversano il Canale di Sicilia, lucrando su migliaia di disperati. 

Un blocco navale di fatto, accompagnato da operazioni di forze speciali nei porti libici, infliggerebbe un colpo severo al più osceno dei traffici. E alla cassa degli aspiranti emuli del “califfo”.

giovedì 5 febbraio 2015

Lettera aperta a un amico musulmano - Confronto sull’islam e sulla barbarie dell’Isis

La presente lettera è stata scritta da Francesca Paci, giornalista della Stampa che da anni lavora in Medio Oriente.

Aggiungo questa lettera agli Appunti perchè anche io, in questi mesi, mi sono confrontato con i miei amici musulmani: ad alcuni di loro ho tentato di dire le stesse parole, una ad una, che ha scritto Francesca Paci (alla quale ho già fatto i complimenti su twitter).

Buona lettura.


Caro Mohammed, 

amico con cui da anni discuto dei rapporti tra islam e occidente, dei pregiudizi, dei ponti da costruire al posto dei muri, delle nostre colpe e della vostra ipersensibilità, voglio scriverti oggi perché ho ancora l’amaro in bocca per la nostra telefonata di ieri, mentre la Rete moltiplicava le immagini del pilota giordano Muad Kassasbe bruciato vivo dagli assassini dello Stato Islamico (e poi vendicato dalla Giordania con un’ennesima esecuzione che come denuncia anche Amnesty non risolve il problema). Lo so, preferisci che non chiami Stato Islamico la banda criminale di al Baghdadi, preferisci l’acronimo arabo di “daesh”, quello adottato ufficialmente dalla Francia per evitare qualsiasi associazione tra la tua religione e la barbarie all’opera in Siria e in Iraq. Hai ragione, le parole contano, anche in Gran Bretagna ormai si dice quasi sempre “daesh” perché giustamente l’aggettivo “islamico” è neutro e non ha alcuna connotazione violenta. Al netto della necessaria correttezza lessicale però, mi duole che il tuo disgusto per l’ennesima feroce esecuzione firmata “daesh” non arrivi fino in fondo, come non è arrivato fino in fondo dopo l’attentato al settimanale francese Charlie Hebdo, come non è arrivato fino in fondo dopo la decapitazione del giornalista americano James Foley e degli altri ammazzati dai boia incappucciati, come non arriva più fino in fondo quando ripensi a posteriori agli aerei che si schiantano sulle Torri Gemelle nel cielo sopra New York. 

Avevi 17 anni l’11 settembre del 2001, ci siamo conosciuti poco dopo. Mi hai raccontato che restasti scioccato, che non avevi alcuna simpatia politica per gli americani anche se ascoltavi Moby, che detestavi il sostegno di Washington a Israele e al regime dell’allora Faraone Mubarak (per questo hai partecipato alla rivoluzione di piazza Tahrir), che senza alcuna profonda empatia restasti ugualmente ammutolito. Anche 14 anni fa, nell’enfasi del momento, hai pensato che tutte le possibili malefatte degli Stati Uniti non meritassero quella carneficina, l’hai pensato mentre già tra i tuoi amici, sui giornali egiziani, nei programmi tv iniziavano a serpeggiare insidiosi il virus del giustificazionismo e la tentazione di credere al complotto. Alla fine, sotto sotto, sebbene tu sia troppo per bene per credere che la Cia o la Casa Bianca o il Mossad abbiamo davvero pilotato Mohammed Atta, hai cominciato a congetturare, tu quoque, che mah, forse qualcosa di strano dietro alle Twin Towers c’era pure... L’hai cominciato a pensare perché sei cresciuto, ti sei laureato in ingegneria informatica e hai preso a viaggiare in un mondo che ti guardava diversamente perché ti chiamavi Mohammed e hai sviluppato una ipersensibilità verso qualsiasi discorso sull’islam. Io questo lo capisco, so quanto siano stati pesanti questi ultimi anni per chi come te prega senza farlo pesare a nessuno e mi accompagna a cercare una birra nella Cairo in pieno Ramadan. 

Eppure quando commenti con me gli orrori compiuti nel nome della tua religione senti sempre il bisogno, e lo senti sempre più spesso, di spiegarmi che l’islam non c’entra, che il Corano è un libro di pace, che le parole del Profeta Maometto sono parole di amore, che la moderazione è la cifra delle tue preghiere e che gli assassini sono falsi musulmani la cui opera profanatrice fa comodo dietro le quinte a chissà chi. Anche ieri l’hai fatto, mentre la gabbia dentro cui ardeva il povero 24enne catturato a dicembre (musulmano anche lui) ci sbatteva in faccia tutto il peggio dell’odio giustificato da presunte missioni indicate da Dio. Ma a chi vuoi che faccia comodo, Mohammed? La Storia dell’uomo è costellata di orrori su cui si sono disfatte e costruite civiltà, se dovessimo leggerla sempre nell’ottica di chi-si-è-avvantaggiato-di-cosa non ci sarebbe Storia. Siccome il presidente Francese Francoise Hollande ha visto la sua popolarità lievitare dopo Charlie Hebdo, dobbiamo sospettare che abbia architettato lui l’attentato? Siccome ogni stupro di gruppo commesso in India accende l’interesse mediatico su una tragedia altrimenti ignorata, dobbiamo sospettare che le donne abbiano interesse a essere violentate? Siccome più bambini muoiono a Gaza e più cresce il biasimo internazionale verso il blocco imposto da Israele, dobbiamo sospettare che ad ammazzarli siano i palestinesi?  

Quando la mia religione, il cristianesimo, passava a fil di spada gli infedeli dietro le insegne delle Crociate chi se ne avvantaggiava? Chi armava le mani dei conquistadores muniti di croce e spada in America Latina? Quale falsa lettura dei libri sacri giustificava l’azione della Chiesa nell’Irlanda delle Case Magdalene, i famigerati istituti di suore che accoglievano le ragazze ritenute “immorali”? La Chiesa, tardi e male quanto vuoi, si è presa carico del suo passato e della sua storia. E quando non l’ha fatto la Chiesa l’hanno fatto i cristiani. E quando anche i cristiani riluttavano l’hanno fatto gli atei, i volteriani, gli irriverenti. Quando riuscirai a dirmi senza omissioni che i tagliagole di al Baghdadi pregano come te, si rivolgono verso la Mecca come te, che osservano lo stesso digiuno rituale e che sono un cancro nato all’interno della tua famiglia senza che neppure chi davvero se ne avvantaggia (come per esempio il criminale Bashar Assad) abbia avuto influenza sulla genesi di quella follia? 

In realtà chi ha alimentato questa follia chiamata “daesh” esiste ma, perdonami Mohammed, non si trova a Washington né a Gerusalemme. Per quanto la criminale guerra di Iraq voluta da George W. Bush abbia scoperchiato il vaso di Pandora, per quanto la morte dei bambini di Gaza squassi il cuore, per quanto le cerimonie di nozze afghane devastate dai droni killer siano deprecabili, le menti di quelli che bruciano oggi il pilota giordano (ma anche Charlie Hebdo) sono piene delle idiozie diffuse negli ultimi trent’anni da una pubblicistica religiosa che propaga una visione basica dell’islam, elementare, ignorante, fatta solo di haram/halal (vietato/permesso).  

Hai ragione, è una versione dell’islam da analfabeti, due dei foreign fighters partiti da Birmingham per andare a combattere in Siria aveva prima comprato su Amazon il manuale “Islam for dummies”. Hai ragione, lo so, l’islam è molto altro e il Corano come la Sunna sono testi ricchissimi. Ma è inutile girarci intorno, si tratta comunque di una pubblicistica islamica, edita nel Golfo, pile e pile di libri che si basano sulla più rigida delle 4 scuole islamiche (quella hanbalita) e sulla dottrina ultraortodossa wahabita, sono testi zeppi di parole che conosci bene e che riconosci perché sono la distorsione di quelle stesse che leggi tu. Perché i sanguinari vendicatori di Parigi volevano far tacere chi irrideva il tuo Profeta e per quanto quelle vignette fossero insultanti o perfino volgari i loro autori sono stati ammazzati da chi invocava il nome del tuo Dio. E solo quando, amico Mohammed, ti metterai a piangere di fronte alla sagoma di Muad Kassasbe che si squaglia nel fuoco senza pensare a chi c’è veramente dietro, senza spiegarmi che quelli di “daesh” non sono musulmani perché l’islam proibisce l’odio (ma loro, me l’hanno spiegato ad Anversa, pensano di essere musulmani più bravi di te), solo quando la tua condanna della barbarie andrà fino in fondo guardando dentro lo specchio i tuoi fantasmi (oggi anche miei) saremo insieme nella battaglia per la nostra sopravvivenza. E vinceremo.


martedì 3 febbraio 2015

Novità in arrivo riguardo all'assoggettabilità alla VIA per progetti di competenza regionale


Schema di decreto ministeriale recante le linee guida per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale dei progetti di competenza delle Regioni e delle Province autonome


L’8 gennaio 2015, il Ministero dell’ambiente ha trasmesso al Senato lo schema di DM riguardante le Linee guida per verifica di assoggettabilità alla VIA per i progetti di competenza delle Regioni e delle Province (allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006).
Le Linee Guida sono finalizzate al superamento delle procedure di infrazione della Commissione Europea 2009/2086 e 2013/2170, avviate per non conformità delle disposizioni nazionali alla direttiva VIA 2011/92/UE.

Lo schema è stato assegnato alla 13° Commissione territorio, ambiente e beni ambientali, che dovrà dare un parere entro il 3 febbraio 2015.
Le Linee Guida verranno applicate anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del DM.

In sintesi, le Linee Guida prevedono che le attuali soglie di assoggettabilità riportate all’Allegato IV Parte Seconda del dlgs 152/06 siano ridotte del 50% nei casi in cui i progetti soddisfino uno o più ulteriori criteri che servono ad integrano quelli tecnico-dimensionali e di localizzazione geografica inizialmente utilizzati per la fissazione delle suddette soglie.
La riduzione delle soglie nei casi previsti dagli ulteriori criteri, consente di adattare l’assoggettabilità al fine di considerare la sussistenza e l’effettiva incidenza di condizioni che non erano considerate dal meccanismo di fissazione delle soglie esistenti.
I criteri da considerare al fine di ridurre del 50% le soglie di assoggettabilità sono:
 1. Caratteristiche dei progetti:
§  Cumulo con altri progetti;
§  Rischio di incidenti, per quanto riguarda, in particolare, le sostanze o le tecnologie utilizzate.

        2.  Localizzazione dei progetti
Deve essere considerata la sensibilità ambientale delle aree geografiche che possono risentire dell’impatto dei progetti, tenendo conto, in particolare:

§  Della capacità di carico dell’ambiente naturale, con particolare attenzione alle seguenti zone:
a.              Zone umide;
b.              Zone costiere;
c.               Zone montuose e forestali;
d.              Riserve e parchi naturali;
e.               Zone classificate o protette ai sensi della normativa nazionale; zone protette speciali designate in base alle direttive 2009/147/CE e 92/43/CEE;
f.                Zone nelle quali gli standard di qualità ambientale fissati dalla legislazione comunitaria sono già stati superati;
g.               Zone a forte densità demografica;
h.              Zone di importanza storica, culturale, archeologica.

Le Linee Guida definiscono e descrivono in maniera dettagliata ognuno dei suddetti criteri, e anche le procedure amministrative che Regioni e province dovranno seguire per recepire le modifiche.

Le presenti Linee Guida arrivano, tra l’altro, in un momento di forti cambiamenti dal punto di vista delle competenze autorizzative su tematiche ambientali-energetiche: la riforma del Titolo V parte II della Costituzione prevede infatti il ritorno allo Stato di larga parte delle competenze nei settori ambiente ed energia che sono attualmente materia concorrente con le Regioni.

Di seguito il link al sito del Senato dal quale scaricare lo schema di decreto:

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/845606.pdf