sabato 27 aprile 2013

Sbagliato accusare il fotovoltaico (?) - di G.B. Zorzoli

Pubblico questo articolo perchè è un'interessante risposta al coro di voci che attribuiscono al fotovoltaico (e ai suoi incentivi) tutta la colpa per la situazione di overcapacity in cui versa l'attuale sistema termoelettrico italiano.
Il titolo dell'articolo originale è senza il punto interrogativo, che invece io aggiungo perchè non mi schiero a favore dell'una o dell'altra parte (non ne ho ancora la piena conoscenza, per poterlo fare in maniera consapevole), ma questa analisi di Zorzoli merita comunque di essere letta, a mio avviso.

Buona lettura.

Quando una comunità è afflitta da gravi problemi di difficile soluzione, chi ne porta una grossa parte di responsabilità immancabilmente addita un colpevole su cui scaricarla; operazione che riesce meglio se il nemico viene da fuori (per la crisi economica l'euro, la Merkel o entrambi). Purtroppo, occultare le cause reali dei problemi non aiuta a risolverli; anzi, spesso li peggiora.

Come conferma nella sua intervista alla Staffetta, Chicco Testa non si comporta diversamente. È incontestabile che, quanto più la loro produzione è basata sui cicli combinati, le aziende elettriche si trovino in gravi difficoltà. Nessuno nega che in passato il fotovoltaico sia stato eccessivamente incentivato. Tuttavia, quando si individua nel fotovoltaico il principale responsabile di tali difficoltà, come il presidente di Assoelettrica continua sistematicamente a fare, siamo in presenza dell'ennesima invenzione del nemico di comodo.

Lo stesso Testa ha stimato in 2.440 ore il funzionamento medio, nel 2012, dei cicli combinati in puro assetto elettrico. Tenuto conto della potenza installata, l'anno scorso la loro produzione è stata quindi intorno a 61 TWh. Sempre nel 2012, il fotovoltaico ha generato 18,8 TWh (dati GSE). Supponiamo una produzione dimezzata, grazie a misure d'incentivazione molto severe; se la quota di offerta così liberata fosse andata tutta ai cicli combinati, il numero medio di ore di funzionamento sarebbe arrivato intorno a 2.800, ancora largamente insufficiente. Per la felicità del presidente di Assoelettrica, ma non dell'imprenditore Testa, immaginiamo un divieto draconiano di installare impianti fotovoltaici in Italia: in tal modo nel 2012 si sarebbero rasentate 3.200 ore, ancora molto al di sotto dei valori che hanno convinto le banche a finanziare gli investimenti in cicli combinati.

Le cause principali dell'overcapacity sono evidentemente altre e, per evitare di parlarne, nell'intervista Testa arriva ad affermare che “se nel '98 qualcuno avesse detto alle aziende elettriche che nel 2007 avrebbero fatto partire un ciclo di investimenti incentivato, forse si sarebbero comportate diversamente”. Senza rendersene conto, non fa un buon servizio ai suoi associati, descrivendoli come tante Alici sbigottite nel Paese delle Meraviglie, mentre erano perfettamente al corrente degli impegni assunti nel 1997, cioè nell'anno precedente, con la firma del protocollo di Kyoto e proprio allora stavano partecipando al dibattito intorno alle bozze del decreto Bersani, che sarebbe entrato in vigore di lì a pochi mesi. Sì, proprio il decreto che, come ricorda Chicco Testa, ha aperto il mercato elettrico, ma, “dettaglio” che omette di menzionare, in attuazione della Direttiva europea n. 92 del 1996 introduceva la priorità di accesso alla rete “dell'energia elettrica prodotta a mezzo di fonti energetiche rinnovabili e di quella prodotta mediante cogenerazione” (art. 3, comma 3) e misure di incentivazione delle rinnovabili (art. 11). Il ciclo di investimenti incentivato era quindi già nelle bozze disponibili proprio nel 1998 e sarebbe diventato operativo l'anno dopo, insieme alla priorità di accesso alla rete. Insomma, già il decreto Bersani limitava la quota di mercato contendibile, destinandone una quota crescente alle rinnovabili e alla cogenerazione (allora, in pratica, agli impianti CIP6, che hanno consentito ad alcune importanti aziende elettriche di farsi le ossa grazie a generosi incentivi, destinati a fine corsa a pesare sui consumatori per diverse decine di miliardi, ma di questo Testa non parla mai).

Tutto ciò le imprese elettriche lo sapevano benissimo tanto che, come ho già ricordato su queste pagine, la relazione annuale del 14 giugno 2006 del presidente di Assoelettrica, considerava sufficienti i 19.500 MW allora installati o in cantiere, tenuto conto della crescita di potenza delle rinnovabili, necessaria “per il raggiungimento degli obiettivi fissati in sede europea”, che ormai non potevano più essere solo quelli del protocollo di Kyoto. Nel gennaio dello stesso 2006 una comunicazione della Commissione europea aveva infatti lanciato il pacchetto clima/energia, tanto che nel già 2007 (prima dell'insorgere della crisi economica, che ha quindi solo aggravato la situazione) sulla rivista “Energia” Clô e Verde potevano scrivere che con l'attuazione del pacchetto “la quota di produzione lorda da FER potrà arrivare a coprire .. il 40% di quella italiana”, cui va aggiunto l'apporto degli impianti cogenerativi.

Se, ascoltando questi ammonimenti, le aziende elettriche si fossero fermate a 19.500 MW, nel 2012 i cicli combinati avrebbero mediamente funzionato per 3.250 ore, una cifra lievemente superiore a quella ipoteticamente ottenibile con il divieto di installare impianti fotovoltaici.

Tuttavia, anche se per la maggior parte è da attribuire a responsabilità non addebitabili alle rinnovabili e al fotovoltaico in particolare, la situazione di overcapacity rimane molto grave e va affrontata con senso di responsabilità da parte di tutti. A patto, però, che non si continui col “dalli all'untore” e tutti ricordino che talvolta il silenzio può essere d'oro.

giovedì 25 aprile 2013

Una poesia sulla Resistenza, di Giuseppe Colzani


Oggi è l'anniversario della "Resistenza". Scelgo la parola Resistenza, e non "Liberazione", perchè, come disse De Luca, "Liberazione" è l'evento che arriva da fuori, grazie agli eserciti altrui, ma "Resistenza", invece, indica quel preciso fenomeno di opposizione interno, locale, che ha permesso la nascita della nostra costituzione e della nostra Italia.
Per questo pubblico oggi una poesia di un partigiano che la Resistenza la fece per davvero: Giuseppe Colzani.

Buona lettura.

Avevo due paure

La prima era quella di uccidere
La seconda era quella di morire
Avevo diciassette anni
Poi venne la notte del silenzio
In quel buio si scambiarono le vite
Incollati alle barricate alcuni di noi morivano d’attesa
Incollati alle barricate alcuni di noi vivevano d’attesa
Poi spuntò l’alba
Ed era il 25 Aprile

martedì 23 aprile 2013

Un italiano di 700 anni fa: Cecco Angiolieri


Passione, amarezza, goliardia, satira, rabbia. 
Tutto questo in pochi versi di un autore in cui, a mio parere, si possono già vedere alcuni aspetti della futura identità italiana.

Buona lettura.

S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i fosse vento, lo tempestarei;
s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i fosse Dio, mandereil' en profondo;
s'i fosse papa, allor serei giocondo, 
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S'i fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i fosse vita, non starei con lui;
similemente faria da mi' madre.
Si fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.

domenica 14 aprile 2013

Impianti eolici, petrolio, immobili stranieri all'assalto dell'Isola low cost


Propongo questa interessantissima inchiesta di Lorenzo Rotondo apparsa qualche giorno fa (31/03) su Repubblica.

Buona lettura.

E' boom degli investimenti esteri in Sicilia ma l'occupazione rimane ferma. Quanto e cosa resta dei capitali stranieri spesi in Sicilia? L'Isola offre una reale opportunità economica o è solo un trampolino di lancio verso i Paesi dell'Africa e del Medio Oriente?

Secondo i dati dell’Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), il numero delle imprese a partecipazione estera in Sicilia è aumentato di quasi il 200 per cento negli ultimi 6 anni, passando dalle 59 del 2006 alle 163 del 2012. Crescono di poco invece i nuovi addetti nelle aziende “straniere”: appena 800 impiegati in più che portano da 2600 a 3400 il numero dei dipendenti. 

Low Cost Sicily 
Ma cosa spinge gli imprenditori stranieri ad investire qui piuttosto che altrove? 
Confindustria Sicilia parla di un «nuovo scenario economico che vede l’Africa e il Medio Oriente come prossimi obbiettivi delle multinazionali. In questo contesto, l’Isola svolgerebbe il ruolo di testa di ponte, un rifugio sicuro per studiare e ottenere le risorse necessarie prima della nuova espansione». Un rifugio, però, che in molti casi diventa solo una breve sosta. I soldi arrivano, stazionano, e dopo un po’ se ne vanno. Ma c’è di più. Secondo i dati di Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, investire in Sicilia costa meno che nelle altre regioni. Un esempio? Il costo medio per l’acquisto di un capannone industriale in Lombardia è di 1300 euro al metro quadrato mentre a Palermo sfiora appena gli 800 euro. Prezzi ancora più allettanti per uffici e strutture logistiche dove il risparmio sfiora il 50 per cento: 450 euro al metro quadrato contro gli 850 della Lombardia. Stesso discorso per il costo medio di un operaio. Assumerne uno a Catania piuttosto che a Bergamo può far risparmiare all’impresa più di 7 mila euro all’anno per ogni dipendente. 
«La crisi ha svalutato il mercato siciliano — afferma Cleo Li Calzi, manager palermitana, presidente di Sviluppo Italia Sicilia — un mercato che vantava già dei prezzi più vantaggiosi rispetto al resto del Paese. I costi d’insediamento per le imprese estere presentano degli “sconti” anche del 70 per cento. E non dimentichiamoci dei contributi europei, più facili da reperire qui rispetto alle altre regioni». Ma chi sono gli “stranieri” nell’Isola e dove investono? 

Il ritorno degli spagnoli 
In testa a tutti ci sono gli spagnoli con i nuovi “vicerè”, ricchi imprenditori pronti a trasformare le campagne siciliane in giganteschi impianti per la produzione d’energia rinnovabile. L’Iberdrola ad esempio, colosso mondiale dell’eolico con a capo l’imprenditore Ignacio Sanchez Galan e un fatturato annuo di 3 miliardi di euro, ha avviato un progetto per la costruzione di 4 mega impianti (Nebrodi, Alcantara, Lago Arancio e Rocca Ficuzza) per un totale di 178 Megawatt di potenza. Un investimento di circa 300 milioni di euro che permetterà di fornire energia rinnovabile a più di 150.000 abitazioni. Decine di impianti fotovoltaici e 17 milioni d’investimento è il fantaprogetto siciliano della AG-Solar, azienda spagnola controllata dalla Gestamp Corporacion, la più grossa holding iberica nel campo della lavorazione dell’acciaio. Sono invece baschi gli autogeneratori di due impianti eolici, quello di Cattolica (Agrigento) e Lercara (Palermo), grazie all’accordo tra l’iberica Gamesa e l’Enpower 3 Srl del Gruppo Moncada Costruzioni. 
Fiumi di investimenti che all’Isola però lasciano poco o nulla (qualche migliaia di euro per l’affitto dei terreni ai proprietari). In alcuni casi la regione arriva addirittura a pagare di tasca propria i vicerè spagnoli nell’Isola. Molte delle multinazionali iberiche operano in Sicilia tramite delle piccole aziende satellite, rigorosamente a responsabilità limitata, con circa 20 dipendenti e ammini-stratori delegati con cariche nella società madre spagnola. Alcune ne contano una per ogni progetto. Una strategia aziendale che spesso permette ai vicerè di addossare ai siciliani i costi di produzione e spedire gli utili a Madrid. Terminato il progetto, la società satellite potrà tranquillamente liberarsi della manodopera siciliana lasciando allo Stato le spese contrattuali dei licenziati (cassa integrazione e mobilità). Cataldo Salerno, vicepresidente di Confindustria Sicilia, parla di «mancanza di regole che rischiano di trasformare l’Isola in un oggetto low cost da affittare e sfruttare a proprio piacimento ». «Ben venga il denaro straniero — aggiunge Salerno — ben vengano i loro investimenti. Ma è difficile immaginare una regione che possa trarre vantaggi economici per i suoi abitanti se poi queste società formulano i loro bilanci in altre aree più convenienti per loro». 
Tempi duri invece per la più celebre delle aziende spagnole nell’Isola: Caltaqua spa, proprietà di Aqualia, filiale del gruppo Fcc. Sono ben ventidue i comuni della provincia di Caltanissetta serviti dalla società iberica, dallo scorso anno alle prese con lo spettro dei licenziamenti, evitati in extremis, e per ben due volte, lo scorso anno grazie ai contratti di solidarietà con i quali tutti i lavoratori del gruppo (181 in totale) accettavano un taglio dello stipendio del venti per cento. E’ spagnolo anche il gas distribuito in 45 città dell’Isola dalla Gas Natural, appartenente alla Gas Natural Fenosa del magnate Salvador Gabarrò, che opera in Italia in regime di concessione pubblica dal 2004. L’investimento degli spagnoli, in questo caso, avrebbe favorito solo una persona: Massimo Ciancimino, accusato di aver sottratto allo Stato il “tesoro” del padre, Don Vito: quei 126 milioni di euro ottenuti dalla vendita della Gas Gasdotti Siciliana (azienda che negli anni Ottanta si aggiudicava la gestione della rete di distribuzione del metano a Caltanissetta e Alcamo, con il benestare di Bernardo Provenzano) agli spagnoli della Gas Natural. 

Dai russi ai Simple Minds 
Il più «ricco» degli investimenti stranieri in Sicilia resta quello dei russi della Lukoil, compagnia petrolifera con a capo Vagit Alekperov e un fatturato che sfiora i 50 miliardi di dollari. Nel 2008 la società creò una joint venture con Erg per la gestione della raffineria Isab di Priolo nel siracusano. Costo dell’operazione: 1,3 miliardi di euro. «Ma anche in questo caso — sottolinea Nino Salerno, vicepresidente di Confindustria Sicilia — si tratta più di un passaggio di consegne che di un vero e proprio investimento, visto che i lavoratori e gli impianti esistevano già da prima». E poi c’è la salute, quella dei lavoratori impiegati negli impianti controllati dai russi e quella degli abitanti dei comuni limitrofi. Nel 2005, tra Priolo e Melilli, il 5 per cento dei bambini è nato con malformazioni genetiche, numeri cinque volte superiori alla media nazionale. Mentre sono del 20 per cento maggiori rispetto al resto del Paese i decessi per tumore ai polmoni. 
Russi che hanno messo gli occhi su un altro settore in crescita dell’Isola, quello immobiliare, dove i prezzi di ville e appartamenti sono più bassi del 30 per cento rispetto alla Toscana e fino al 40 per cento nelle zone d’Oltralpe. Secondo i dati della Engel & Volkers, leader internazionale nell’intermediazione di immobili, nel 2012 gli investimenti nel settore in Sicilia da parte di stranieri hanno raggiunto gli 84 milioni di euro con aumento del 4 per cento rispetto a 3 anni fa. Tedeschi, francesi e maltesi i nuovi proprietari delle residenze siciliane. Ma anche americani e scozzesi. Questi ultimi vantano la presenza nella regione del leader di una delle più famose rock band, Jim Kerr dei Simple Minds, che a Taormina ha acquistato l’hotel Villa Angela: splendida struttura a meno di 800 metri dal teatro antico con camere superlusso anche di 45 metri quadrati. 
Parlano inglese anche altri imponenti investimenti sempre nel settore turistico. Quello della catena americana Orient Express che a Taormina ha acquistato gli hotel Villa Sant’Andrea e Timeo per 80 milioni di euro e quello del Lord inglese Rocco Forte, che nel marzo del 2010 trasformò un pezzo di costa tra Sciacca e Ribera nel gigantesco resort Verdura. Tre campi da golf e una mega struttura alberghiera per un investimento complessivo di oltre 100 milioni di euro. 

L’invasione delle trivelle 
Ma è soprattutto sul mare che l’invasione straniera si fa sempre più spregiudicata. Decine le compagnie petrolifere estere impegnate nella ricerca di idrocarburi nei fondali siciliani. Texani, canadesi, inglesi, irlandesi e olandesi. Tutti a caccia dell’oro nero. L’australiana Transunion ha già iniziato a sondare il fondale dello specchio d’acqua davanti a Pozzallo, a 27 chilometri dalla costa. L’Audax di Kingston (Inghilterra) di sonde invece non ne ha più bisogno. A breve potrebbe già cominciare a trivellare a 13 miglia da Pantelleria. E non molto lontano da lì, nei dintorni delle Isole Egadi, la londinese Northern Petroleum scalda i motori delle sue piattaforme. Proprio quest’ultima, lo scorso anno, faceva sapere di poter estrarre dai giacimenti siciliani ben 4 miliardi di barili che tradotti in quattrini significano 400 miliardi di euro nelle tasche dei petrolieri. Briciole o nulla per la Sicilia dove le royalty che le compagnie minerarie lasciano al territorio senza imporre franchigie arrivano a malapena al 4 per cento contro l’85 di Libia e Indonesia e l’80 di Russia e Norvegia. Forti delle agevolazioni fiscali italiane, le società le decantano ai loro investitori esteri. A pagina 7 del rapporto annuale della Cygam (società petrolifera con sede a Calgary in Canada) si parla della Sicilia come un paradiso «per l’estrazione di petrolio off-shore», sottolineando la totale «assenza di restrizioni e limiti al rimpatrio dei profitti». «Al di là dell’aspetto ecologico, per l’Isola le trivelle sono anche antieconomiche », spiega Mario Di Giovanna, portavoce di “Stoppa la Piattaforma”. «Se ci adeguassimo agli standard delle royalty degli altri paesi, facendo i conti della serva, potremmo estinguere, solo con una minima parte del canale di Sicilia, il 25 per cento del debito pubblico italiano». 

Star Wars Sicily 
Il caso più eclatante di investimenti esteri senza alcun beneficio per l’Isola è quello relativo alle attività militari americane. Una valanga di dollari per la realizzazione di radar, aerei spia e nuove basi che, secondo gli esperti, rischiano di trasformare la Sicilia in una sorta di mega portaerei al servizio di Washington, dove atterrare e decollare a proprio piacimento e soprattutto a costo zero. Dal tanto chiacchierato 
Muos di Niscemi, il gigantesco radar a stelle strisce nel cuore dell’Isola (vale 43 milioni di dollari), al potenziamento della base di Sigonella, per la quale Washington, dal ‘96 ad oggi, ha speso oltre un miliardo di dollari. E ancora la paura che diverse aree a verde agricolo siano trasformate in zone edificabili per fare spazio a nuovi residence per ospitare i militari e le loro famiglie, come l’agrumeto di contrada Scirumi, a Lentini. Anche in questo caso ricavi nulli per la Sicilia che arriverebbe addirittura a pagare le salatissime bollette dei residenti militari. I conti in tasca agli States dispiegati in Sicilia li ha fatti il Comitato per la smilitarizzazione della base di Sigonella: quasi un miliardo di litri d’acqua all’anno, più di 400 litri di benzina al mese per ogni militare e più di 388 mila euro erogati dalla Regione agli inizi del duemila per la costruzione delle nuove linee di trasmissione elettrica tra la centrale Enel di Pantano D’Arci e la base. Una buona parte del totale a spese dei siciliani. L’Italia infatti paga dal 37 al 40 per cento dei «costi di stazionamento» delle forze armate Usa nel nostro paese sotto forma di contributi diretti e agevolazioni. 
A circa 20 chilometri dalla base di Sigonella, si concentrano gli interessi di un altro illustre straniero. Si chiama Eduardo Ernukian, argentino di origini armene, a capo della Corporacion America, multinazionale sudamericana specializzata nel settore degli scali aeroportuali. Ernukian avrebbe creato un fondo in Lussemburgo intitolato “Catania”. Dentro, il denaro che l’argentino sarebbe disposto a sborsare per accaparrarsi la gestione dell’aeroporto Fontanarossa. Cento milioni di euro per la realizzazione di una nuova pista da 3 mila metri per i voli intercontinentali. 
Ma l’Argentina non è l’unico giocatore in campo. Secondo alcune indiscrezioni, su Fontanarossa ci sarebbe anche l’interesse di alcuni sconosciuti buyer cinesi. Da qualche anno l’Impero Celeste è al centro di un tam tam mediatico su possibili investimenti in yuan nell’Isola. Dal polo automobilistico di Termini, ad aeroporti nuovi di zecca fino all’incredibile progetto del Ponte sullo Stretto. Ma ad oggi, dall’Impero Rosso, solo chiacchiere e illusioni. 

lunedì 8 aprile 2013

Cercansi lampadine - Gramellini


Oggi Gramellini mi ha colpito con questo suo breve articolo, letto a "Che tempo che fa".
Lo ripropongo qui, perché ne condivido fortemente sia la forma che la sostanza.

Buona lettura. 

Un amico racconta che qualche tempo dopo la morte del nonno ha dovuto liberare la cantina del suo appartamento. Tra le altre cose ha trovato uno scatolone pieno di lampadine fulminate. Era accompagnato da un biglietto scritto a mano: «Casomai in futuro inventassero un sistema per ripararle». 

Dietro certi aneddoti affiora un mondo. Pare di vederlo, quell’uomo, mentre accatasta oggetti inutilizzabili in un angolo della cantina con la speranza segreta che un giorno possano servire ancora: se non più a lui, a qualcuno della sua famiglia. C’è chi interpreterà il gesto del nonno come un rifiuto del consumismo o un afflato di tirchieria. Io al contrario vi sento la fiducia nel futuro. È lei che abbiamo perso, è lei che ci sorride nostalgica da questi quadretti del passato che ammorbidiscono i cuori perché sembrano celare una risposta possibile alle angosce presenti. L’Italia è uscita dalle macerie di una guerra mondiale grazie a persone che ragionavano così. Statisti che inseguivano obiettivi e non sondaggi, imprenditori che rinunciavano agli utili per tradurli in investimenti, banchieri che prestavano denaro senza passare subito all’incasso, famiglie che risparmiavano sui cappotti dei figli ma non sui loro studi. Milioni di appassionati della vita che coniugavano i verbi al futuro, pur sapendo che non lo avrebbero goduto ma soltanto propiziato. A chi, seduto su nuove macerie, si chiede da dove ripartire, mi verrebbe da indicare quello scatolone di lampadine bruciate.  

sabato 6 aprile 2013

La mia esperienza in Abruzzo. Per non dimenticare.


Oggi ricorre il 4° anniversario del sisma in Abruzzo.
Propongo questo articolo, che  scrissi appena rientrato dalla mia esperienza di servizio in quei luoghi.
Per non dimenticare.

Buona lettura.

"Con l'aiuto di Dio prometto sul mio onore di fare del mio meglio:
- per compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio paese;
- per aiutare gli altri in ogni circostanza;
- per osservare la Legge scout".


Mi chiamo Marco Campagna, ho 22 anni, sono un capo del Branco Roccia della Pace, gruppo scout Piazza Armerina 2, parrocchia Sacro Cuore.
Dal 28 Aprile al 5 maggio ho prestato il mio servizio in Abruzzo per l’emergenza terremoto.
Non ho fatto niente di speciale, se non tenere fede alla Promessa pronunciata tanti anni fa: compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio paese, aiutare gli altri in ogni circostanza.
Durante questi giorni ho prestato diversi tipi di servizio, dal magazziniere al distributore di pasti in mensa fino al segretario della funzione per il coordinamento dei volontari, ma dopo esser ritornato ho capito che  in tutti questi impieghi ho servito sempre una persona sola: Gesù, incarnato in tutta la gente sofferente che ho incontrato.
Sono arrivato il 28 aprile a Palombaia di Tornimparte, il campo gestito dalla regione Sicilia, a circa 10 km dall’Aquila. Il primo impatto con il campo è forte, adesso non sei più davanti lo schermo, comodamente seduto a casa, ma sei proprio lì, puoi toccare con mano le tende, la pioggia incessante, il freddo.
Già durante il viaggio mi chiedevo: “ma adesso io che ci vado a raccontare a gente che ha perso casa, lavoro, automobile e forse pure qualche familiare?”.
Arrivato al campo però devi essere subito operativo e (forse per fortuna) non hai neanche il tempo di pensare a causa di tutto il lavoro che c’è da fare.
I primi due giorni li ho passati in mensa, tra magazzino, cucina e distribuzione pasti: sono i momenti del pasto quelli in cui si ha il contatto con la popolazione, ed è lì che quella domanda rimasta senza risposta qualche riga fa cade subito, infatti sono proprio loro, gli sfollati, che ti danno il benvenuto!!
“Che bello delle facce nuove!”, “Benvenuti a Tornimparte!”, “Da dove arrivate ragazzi? Fa freddo da queste parti eh?”, sono solo alcune delle frasi che mi sono sentito dire al mio primo giorno di lavoro.
Senza parole. Sono loro che mi rassicurano, che mi fanno subito sentire a casa.  Spesso si sente dire dai volontari che durante il loro servizio hanno ricevuto dalla gente assistita più di quello che sono riusciti a dare. Non è retorica.
Per la prima volta mi viene in mente una frase del fondatore dello scautismo, e che mi tornerà in mente in maniera quasi ciclica ogni giorno:
“La vera felicità la potrete trovare solo facendo la felicità degli altri”.
Nel nostro campo i bambini non sono molti, ma riescono lo stesso a mettere allegria, e io che sono un capo branco abituato a stare con i bambini mi faccio subito coinvolgere dai loro giochi, il nascondino tra le tende era il più divertente. Alcuni di loro non hanno più una casa nè una scuola nè un campetto in cui giocare, eppure hanno una gran voglia di cantare, ballare, correre, ridere. Solo i bambini riescono in certe cose.
Nei giorni successivi vengo spostato in segreteria volontariato del com 3 di Pizzoli: lavoro dalle 8 di mattina alle 21, il nostro compito è quello di gestire tutti i volontari di un bel po’ di campi sparsi a nord e a sud di L’Aquila. Il lavoro arretrato è moltissimo, soprattutto riguardo la registrazione dei volontari in servizio nei vari campi: in soli cinque giorni registriamo più di mille volontari.
Da questo luogo vedo passare tantissime facce, e tantissime figure utili in un’emergenza, infermieri, psicologi, unità cinofile, guardia caccia e guardia pesca, radio amatori e tanti altri. I modi per fare servizio sono davvero tanti.
I giorni passano uguali, tra una scossa e l’ altra, c’è pure chi si vanta, scherzosamente, di conoscere gli “orari” del terremoto: le 5.00 di mattina, le 14.00 e le 22.00 circa, fuori da questi orari non dovrebbero accadere sorprese.
Il primo maggio è la festa dei lavoratori, e tornando dalla segreteria trovo un gruppo musicale nel tendone della mensa con tutta la gente e i volontari che ballano allegramente. Sono stanco, ma non appena vedo alcuni bambini che scorrazzano tra i tavoli e le persone che ballano, non riesco a trattenermi e mi butto a giocare con loro. Sarà stata solo una mezz’oretta, ma è bastata a darmi la ricarica di allegria e gioia di cui avevo bisogno per affrontare i giorni successivi.
Arriva il 5 maggio, giorno importante per ben altri motivi, ma è anche il giorno del mio ritorno a casa. In questi giorni la nostra squadra è diventata molto affiatata e doversi salutare non è mai una cosa semplice. Ma la cosa più difficile è salutare  la gente del posto, sia quelli che hai conosciuto di persona che quelli visti solo ogni tanto. Quando una squadra torna a casa (generalmente durante l’ora di pranzo), passa tra i tavoli della mensa e tutta la gente batte forte le mani e saluta, la commozione è davvero tanta da entrambe le parti, e soprattutto è autentica: qua non ci sono telecamere con i loro primi piani alla ricerca della lacrima a tutti i costi né giornalisti indiscreti che sembrano fare domande apposta per generare il pianto. Qui è tutto vero, purtroppo. Io decido di camminare a testa bassa fino all’uscita, fermandomi solo a salutare qualcuno che mi chiama da vicino. Arrivato nel furgone mi rendo conto di avere un magone che non riesco a farmi passare, ma non sono solo, anche gli altri compagni di squadra sono tristi. Mi sembra quasi di abbandonare tutta quella brava gente, mentre io me ne torno tranquillo nella mia calda casetta. So che non è così, in esercitazione mi è stato detto più volte che la vita deve continuare per tutti, sia per loro che per noi volontari, ma è dura da mandare giù; e allora cerco di applicare un articolo della legge scout (gli scout sorridono e cantano nelle difficoltà): cantando riusciamo a sfogarci un po’, ma una piccola parte di me è rimasta lì, nei sorrisi di Martina, Vittorio, Lorenzo, Samuele, Alessia, il vecchietto di cui forse neanche sapevo il nome con cui ho fatto qualche volta colazione e che mi ricordava tanto mio nonno, e tutti gli altri che mi hanno onorato della loro conoscenza.
L’AQUILA TORNA A VOLARE!!