venerdì 29 maggio 2015

Buonisti un cazzo

Questo articolo è di Alessandro Gilioli (l'Espresso).
La "cesura" tra cultura ed etnia che viene spiegata è realmente chiarificatoria ed utile, soprattutto per chi in contesti simili ci vive, e, a volte, non sa più cosa pensare. Ecco, in quei momenti, arriva il Salvini di turno che ti dà la risposta più rapida, più semplice, più pericolosa.
Oppure cerchi di non arrenderti al facile odio etnico, e questo articolo di Gilioli, secondo me, aiuta a continuare ad avere la "bussola etico-sociale" su come pensarla.
Per questo tentativo di non arrendersi al puro "odio tecnico", ci si può anche sentir dire buonisti, di tanto in tanto. Ecco, se vi capita, rispondete semplicemente con il titolo di questo articolo.

Buona lettura.

Questa mattina i bambini rom della baraccopoli sotto l'ospedale San Filippo Neri, a Roma, non sono andati a scuola: le famiglie avevano paura che venissero picchiati o che qualche genitore impedisse il loro ingresso in classe. In quanto rom.

Stiamo attenti, state attenti, perché quello che sta succedendo è la proiezione su un'etnia (attenzione: in quanto etnia, cioè con quei tratti e quella lingua) del comportamento criminale di altri membri dell'etnia stessa. Esattamente come se negli Stati Uniti, negli anni Trenta, i bambini figli d'italiani non fossero andati a scuola - in quanto italiani -  temendo ritorsioni per una strage compiuta dalla mafia siciliana.

Stiamo attenti, state attenti, perché la cesura è sottile ma decisiva. Ed è la cesura tra cultura (cioè usi, abitudini diffuse, codici comportamentali che si tramandano in famiglia) e appartenenza etnica, cromosomica, genetica. Il passaggio, ripeto, sembra una sciocchezza ma è dirimente ed è già avvenuto. Non solo nella peggiore destra rancida (Salvini, Libero, il Tempo) ma un po' anche a sinistra, laddove si identifica come «problema» un'etnia (un'intera etnia!), e non le abitudini comportamentali e subculturali che in quell'etnia si sono tramandate, che ovviamente  non hanno nulla di etnico e di genetico, ma sono appunto comportamentali e subculturali: pertanto si possono gradualmente estinguere solo con una contaminazione culturale, non con la criminalizzazione di un'etnia («i Rom sono la feccia della società», onorevole Gianluca Buonanno), né con la identificazione di un'etnia come problema.

Stiamo attenti, state attenti, perché il superamento più o meno consapevole e ragionato di questa membrana logica - cioè la confusione tra etnia e comportamenti culturali - non è che porta alla spartizione del campo tra leghisti e buonisti, tra legalitari e permissivisti, tra destra e sinistra. Proprio no. Porta, semplicemente, alla guerra interetnica sotto casa. Oggi con gli zingari, domani con altre minoranze. Che non gradiranno l'idea di non poter mandare il bambino a scuola perché qualcuno della loro stessa etnia ha commesso un reato. E si organizzeranno di conseguenza.

D'altro canto si sa da settant'anni che la rivolta del ghetto di Varsavia è l'unica risposta ragionevole al razzismo. E che ha avuto l'unico difetto di avvenire troppo tardi. Con i razzisti, buonisti un cazzo.

mercoledì 27 maggio 2015

Io so cos'è la fame - Settimio Damiani

100 anni dalla grande guerra. Ascoltando il BBC World Service oggi ho scoperto la storia di Settimio Damiani e del suo diario. Un diario della prima guerra mondiale. 
Propongo il breve video di Rai Storia in proposito: a molti, le ultime parole di Settimio, faranno ricordare le parole dei nostri nonni. Sembra impossibile ma è così: durante la guerra, i soldati italiani avevano un ulteriore nemico, la fame. 
La fame nera, come cantavano i Mercanti di Liquore. 

Buona visione.

lunedì 11 maggio 2015

Poesia di Felicia Impastato

9 maggio 1978, Peppino Impastato viene ammazzato.
La poesia che pubblico è della madre di Peppino, Felicia.

Buona lettura.

Chistu unn’è me figghiu.
Chisti un su li so manu
chista unn’è la so facci.
Sti quattro pizzudda di carni
un li fici iu.

Me figghiu era la vuci
chi gridava ’nta chiazza
eru lu rasolu ammulatu
di li so paroli
era la rabbia
era l’amuri
chi vulia nasciri
chi vulia crisciri.

Chistu era me figghiu
quannu era vivu,
quannu luttava cu tutti:
mafiusi, fascisti,
omini di panza
ca un vannu mancu un suordu
patri senza figghi
lupi senza pietà.

Parru cu iddu vivu
un sacciu parrari
cu li morti.
L’aspettu iornu e notti,
ora si grapi la porta
trasi, m’abbrazza,
lu chiamu, è nna so stanza
chi studìa, ora nesci,
ora torna, la facci
niura come la notti,
ma si ridi è lu suli
chi spunta pi la prima vota,
lu suli picciriddu.

Chistu unn’è me figghiu.
Stu tabbutu chinu
di pizzudda di carni
unn’è di Pippinu.

Cca dintra ci sunnu
tutti li figghi
chi un puottiru nasciri
di n’autra Sicilia.