martedì 22 febbraio 2011

Ultimo messaggio di Baden Powell


Oggi è il 22 febbraio, un giorno importante per gli scout di tutto il mondo: il 22 febbraio 1857 nasceva a Londra Robert Baden Powell, il fondatore del movimento scout mondiale. Per questo oggi per tutti gli scout del mondo è il "Thinking day", il giorno del pensiero. In questa giornata in tutto il mondo gli scout pensano al loro fondatore B.-P., ma non solo. Ogni anno trattiamo un tema unico (uno degli obbiettivi ONU del millennio) e  quest'anno il tema è il rispetto e la valorizzazione delle doti maschili e femminili e la condizione femminile in particolare. Molto attuale vero??? :)))
Per tutti questi motivi, oggi propongo l'ultimo messaggio che B.-P. lasciò a tutti gli scout del mondo, ma in effetti io direi che è un messaggio che va benissimo per qualunque ragazzo o ragazza, che sia scout o no.
Questo messaggio venne predisposto da B.-P. per essere pubblicato dopo la sua morte (avvenuta nel 1941).
Fu scritto probabilmente prima del 1929 e, secondo sua moglie, B.P. lo portò sempre con sé nei suoi viaggi, in una busta piccola indirizzata “Agli Scouts”.


Cari Scouts,
se avete visto la commedia Peter Pan vi ricorderete che il capo dei pirati ripeteva ad ogni occasione il suo ultimo discorso, per paura di non avere il tempo di farlo quando fosse giunto per lui il momento di morire davvero. Succede press’a poco lo stesso anche a me e, per quanto non sia ancora in punto di morte, quel momento verrà, un giorno o l’altro; così desidero mandarvi un ultimo saluto, prima che ci separiamo per sempre.
Ricordate che sono le ultime parole che udrete da me: meditatele.

Io ho trascorso una vita molto felice e desidero che ciascuno di voi abbia una vita altrettanto felice.
Credo che il Signore ci abbia messo in questo mondo meraviglioso per essere felici e godere la vita. La felicità non dipende dalle ricchezze né dal successo nella carriera, né dal cedere alle nostre voglie.
Un passo verso la felicità lo farete conquistandovi salute e robustezza finché siete ragazzi, per poter essere utili e godere la vita pienamente una volta fatti uomini.
Lo studio della natura vi mostrerà di quante cose belle e meravigliose Dio ha riempito il mondo per la vostra felicità. Contentatevi di quello che avete e cercate di trarne tutto il profitto che potete. Guardate al lato bello delle cose e non al lato brutto.

Ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri.

Cercate di lasciare questo mondo un pò migliore di quanto non l’avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato il vostro tempo, ma di avere fatto del nostro meglio. “Siate prearati” così, a vivere felici e a morire felici.

Mantenete la vostra Promessa di Scouts, anche quando non sarete più ragazzi, e Dio vi aiuti in questo.

Il vostro amico
Baden Powell of Gilwell

domenica 20 febbraio 2011

Per Ante - Erri De Luca -

La seguente poesia parla del comandante partigiano Ante Zemljar, incarcerato dalla polizia titina e deportato nel lager di Goli Otok, l"isola cava".
Goli Otok è un gulag, un centro di "rieducazione politica".
Ante venne arrestato per le sue posizioni staliniste, perchè si oppose alla separazione di Tito dall'unione sovietica. Egli rimane nell'isola calva per cinque interminabili anni. 
Ma ne uscirà vivo.

Era una finestrella, sbarrata da una tavola di legno, l'unica presa d'aria della cella.
L'uomo si abitua all'ombra.
A mezzogiorno, in piedi sulla branda, si allunga la fessura della luce: meno di un rigo, un verso, breve, passa sulle palpebre degli occhi.
C'è un nodo nel legno, e lui tocca con l'unghia e con il tempo, con la punta dell'unghia e del tempo: all'uomo serve un gioco, nella cella.
Un giorno il nodo cede; pregato dall'unghia, l'amica del tempo, che ricresce ogni giorno, il nodo cede. Si toglie come un tappo di bottiglia, e nel suo collo passa uno zampillo di luce, dritta, liscia, s'allarga a terra. Allaga il pavimento.
Il prigioniero Ante si mette scalzo, ci si bagna i piedi. E' un anno che non esce di cella: niente cortile, aria. Un anno che la porta è uguale al muro, che la porta non porta da nessuna parte. Un anno.
Strizza gli occhi. Il sole dentro il buco è un'arancia, tonda, nella mano.
I piedi si strofinano fra loro: sono due bambini, la prima volta al mare. I piedi di Ante Zemljar.
Ante Zemljar, comandante di molti partigiani, congedato col merito della vittoria in guerra, e adesso chiuso dagli stessi compagni suoi: nemico della patria.
Nemico.
Lui, che l'ha agguantata al collo, l'ha scrollata dagli eserciti invasori fiume per fiume, dalla Neretva alla Drina, coi calci della fame, senza nemmeno portar via una cipolla a un contadino, perché così è la guerra partigiana.
Nemico. Lui.
L'hanno tolto da casa. Da Sonia, di due anni, che sa gridare già "Lasciate il mio papà!"
Adesso, sì, voi siete i suoi nemici.
Ante sa le percosse.
Sa che un pugno da destra lascia sangue sul muro di sinistra e viceversa, un pugno dritto in faccia lascia sangue a terra. Ma c'è la novità: qui le botte riescono a lasciare il sangue sul soffitto. C'è da imparare sempre circa le vie del sangue, e dei colpi ingegnosi dei gendarmi.
Ante conserva il nodo. Lo rimette nel legno. La guardia non saprà. Il sole non è spia, s'infila svelto e poi non lascia impronta. Pure se perquisisce, la guardia non può dire "Qui c'è stato il sole, sento il suo odore!" Il sole non è un topo. Pure se ne finisce molto in una cella, nessuno si accorge che fuori manca un raggio, che la conduttura del sole ha un buco, che perde luce da un nodo di legno.
Ancora un po' di mesi, poi glielo daranno il sole, tutto in una volta, sulla schiena, peggio dei colpi di bastonatura. Sopra l'isola nuda, a spaccar pietre, Ante.
Il prigioniero Ante.
Ha conservato il nodo. Qualche volta, lontano dalla guardia, lo punta contro il sole, e si procura un'ombra sempre all'isola nuda, a spaccar pietre bianche e poi gettarle in mare. Adriatico. Perché la pena è pura, non ha valore pratico. E il mare non si riempirà.

sabato 19 febbraio 2011

Tratto dal film "Il terzo uomo" di Carol Reed.

La sceneggiatura del film è di Orson Welles e Graham Greene. La seguente frase ci può servire un pò per tirarci su il morale, in un periodo in cui l'Italia e noi italiani non siamo certo considerati benissimo nel mondo.

In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto assassini, guerre, terrore, e massacri, e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento.
In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e di democrazia e cosa hanno prodotto? L'orologio a cucù.

venerdì 18 febbraio 2011

Indifferenti. - tratto dagli scritti giovanili di Antonio Gramsci

Ieri è stata una bella sorpresa, sintonizzandomi su raiuno, sentire Luca e Paolo dire: "odio gli indifferenti". Subito ho capito (e sperato) che si trattava degli scritti giovanili di Antonio Gramsci.
Stamattina sono tornato a rileggerlo, e lo voglio riproporre qui.
Le idee non muoiono, e pensare che a distanza di più di 90 anni, su un diario on line venga pubblicato questo brano, mi fa un pò emozionare.

Prima di leggere, un'ultima nota: Gramsci nacque nel 1891, questo brano risale al 17 febbraio 1917, fatevi due calcoli...sì, aveva 16 anni.

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

giovedì 17 febbraio 2011

Il bersagliere ha cento penne. - Autore sconosciuto -

Quello che segue è un canto della  Resistenza italiana (1943-1945), è stato adattato da un vecchio canto militare della prima guerra mondiale.
La trovate on-line cantata , anche dall'ex cantante dei Modena City Ramblers, Cisco Bellotti.

Il bersagliere ha cento penne
e l'alpino ne ha una sola,
il partigiano ne ha nessuna
e sta sui monti a guerreggiar.

Là sui monti vien giù la neve,
la bufera dell'inverno,
ma se venisse anche l'inferno
il partigiano riman lassù.

Quando viene la notte scura
tutti dormono alla pieve,
ma camminando sopra la neve
il partigiano scende in azion.

Quando poi ferito cade
non piangetelo dentro al cuore,
perché se libero un uomo muore
che cosa importa di morir.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il baratto come alternativa sostenibile

www.zerorelativo.it. Questo è il sito della prima community (nazionale) per tutti coloro che sono interessati al baratto, cioè lo scambio di oggetti ritenuti con valore simile, ma senza l'utilizzo di denaro!
Semplice da usare, si può fare una semplice ricerca per città e trovare cosa viene offerto (ho provato con Catania e si trovano un sacco di cose!)

L'ho chiamata un'alternativa sostenibile, perchè??
Tutti gli oggetti che a noi non servono più, o che non ci piacciono, o di cui, per altri mille motivi, ci vogliamo sbarazzare, possono continuare ad essere interessanti per qualcun altro, continuando così la loro vita utile e non andando a finire, prematuramente, nel ciclo di smaltimento dei rifiuti, evitando così tutte le dirette (ed indirette) conseguenze.

Alla prossima!

martedì 15 febbraio 2011

Lingua e dialettu. - Ignazio Buttitta -

Oggi mi è venuta in mente una poesia (la più celebre) di un grandissimo poeta siciliano, Ignazio Buttitta. Sarebbe bello studiare anche questi autori a scuola, autori della nostra terra, che amano la nostra terra e che parlano la lingua della nostra terra.
Il dialetto riesce a rendere familiare e vicino a noi il poeta, ma soprattutto con il dialetto ci arriva forte e chiaro il messaggio che il poeta ci vuole dare.
Qui si parla proprio del dialetto, definito da Buttitta "a lingua addutata di patri".

Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.
 
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unnu mancia
u lettu unnu dormi,
è ancora riccu.
 
Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
 
Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi nn’addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.
 
Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.
 
E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuelli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l’ali tagghiati.
 
Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.
 
Nuàtri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.
 
Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.
 
Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.

lunedì 14 febbraio 2011

Tratto da "Il sergente nella neve" di Mario Rigoni Stern

L'episodio narrato è avvenuto (come tutto ciò che è narrato nel libro) durante la ritirata dell'esercito italiano dal fronte russo (gennaio-febbraio 1943). I soldato russi accerchiarono alcune divisioni che dovettero aprirsi la strada verso casa. Russi e italiani erano nemici, in teoria.

Sento che ho fame e il sole sta per tramontare. Attraverso lo steccato e una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d'occhio. Corro e busso alla porta di un'isba. Entro.
Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz'aria. - Mniè khocetsia iestj, [datemi da mangiare] - dico. Vi sono anche delle donne.
Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge.
Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C'è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. 
E d'ogni mia boccata. - Spaziba [grazie] - dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. - Pasausta [prego], - mi risponde con semplicità.
I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano d'ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni.
La donna mi dà il favo e io esco.
Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev'esserci stata tra gli uomini.
Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, nè alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano con me, lo sentivo. In quell'isba si era creta tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un'armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di più del rispetto che gli animali della foresta hanno l'uno per l'altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. 
Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finchè saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati.
I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, ad innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere.

Versi di Peppino Impastato. Mai pensato il carnevale da questo punto di vista.

Ripropongo qui una poesia di Peppino Impastato sul carnevale che avevo già pubblicato su fb. Ieri passeggiando ho visto molti bimbi in maschera, e così mi è tornata in mente. 
Buona lettura.


Oggi si butta giù
la maschera, mascherandosi.
Il carnevale
è una festa davvero strana:
si vince l'ipocrisia
erigendole un monumento mascherato.
Stasera voglio tagliuzzare ogni mio sentimento
in mille coriandoli colorati.
Poi li getterò nella calca dei convenuti
per allietare le loro danze.

Rose Montmasson Crispi, detta Rosalia: LA DONNA CHE FECE PARTE DELLA SPEDIZIONE DEI MILLE.

Nata da famiglia di umili origini, Rose conobbe il futuro marito nel 1849, durante l'esilio piemontese, quando lei svolgeva le mansioni di lavandaia e stiratrice, mentre Crispi era un giovane rivoluzionario, rifugiatosi in Piemonte dopo il fallimento della rivoluzione indipendentista siciliana del 1848.
In seguito al soffocamento della cospirazione mazziniana a Milano, nel 1853, Crispi fu costretto a lasciare il Piemonte e ripararsi a Malta. Rose lo seguì e i due si sposarono, nell'isola mediterranea, per poi trasferirsi a Parigi, dove vissero fino al1858, quando furono espulsi dalla Francia, sospettati di complicità con Felice Orsini, e forzati a raggiungere Giuseppe Mazzini a Londra.
La coppia tornò in Italia nel 1859, durante la seconda guerra d'indipendenza, subito prendendo contatto con le compagnie garibaldine che preparavano lo sbarco in Sicilia e collaborandovi attivamente.
Nel marzo 1860, Rose s'incaricò di raggiungere Messina a bordo di un vapore postale, affinché i patrioti siciliani rendessero possibile lo sbarco di Rosalino Pilo e Giovanni Corrao. Proseguì poi per Malta per avvertire i rifugiati Italiani dell'imminente spedizione e, sempre con il vapore postale, tornò a Genova, in tempo per unirsi ai Mille, dei quali fu l'unica partecipante femminile. La leggenda vuole che si travestì da militare per imbarcarsi sul "Piemonte", contravvenendo all'ordine del marito di restare a Quarto.
Durante la spedizione dei Mille si occupò prevalentemente della cura dei feriti, già dalla battaglia di Calatafimi operò tra i combattenti per portare in salvo i colpiti e, nell'occasione, imbracciò il fucile. Prestò il suo servizio nelle ambulanze di Vita,Salemi e Alcamo, dove i siciliani la ribattezzarono Rosalia, nome che contrassegnò poi tutta la sua esistenza, tanto da essere trasposto come vero anche sulla sua lapide.
Dopo la nomina a deputato del marito, seguirono alcuni anni di vita relativamente tranquilla, terminata qualche tempo dopo il trasferimento della coppia a Roma, quando venne ripudiata da Crispi, il quale denunciò l'irregolarità del matrimonio contratto a Malta. Il motivo di litigio tra i due, probabilmente, fu il voltafaccia di Crispi che abbandonò i repubblicani per schierarsi con i monarchici; una scelta che nella visione di Rosalia dovette apparire come un tradimento dei compagni di tante avventure e degli ideali per i quali avevano combattuto.
Il 26 gennaio 1878, Crispi prese in moglie Lina Barbagallo, giovane leccese, di nobile ceppo borbonico, dalla quale aveva avuto una figlia cinque anni prima. Il matrimonio provocò un grande scandalo che coinvolse anche la regina Margherita di Savoia, la quale si rifiutò pubblicamente di stringere la mano al ministro Crispi, dopo aver presa visione della copia fotografica dell'atto di matrimonio celebrato a Malta. Lo scandalo portò a un processo per bigamia nel quale Crispi venne assolto, avendo i giudici accertata l'irregolarità formale del matrimonio maltese, dovuta al fatto che il prete celebrante era in quel momento sospeso a divinis, per la sua attività patriottica.
Rosalia rimase a Roma, sopravvivendo con la pensione assegnata ai Mille; morì in povertà, tanto che la sua salma venne tumulata in un semplice loculo, concesso gratuitamente dal comune nel cimitero del Verano, ove ancora riposa.



Tratto da "Se non ora, quando?" di Primo Levi

L'italia è un paese strano, - disse Chaìm. - Ci vuole molto tempo per capire gli italiani, e neanche noi, che abbiamo risalito tutta l'Italia da Brindisi alle Alpi, siamo ancora riusciti a capirli bene; ma una cosa è certa, in Italia gli stranieri non sono nemici. Si direbbe che gli italiani siano più nemici di se stessi che degli stranieri: è curioso ma è così. Forse questo viene dal fatto che agli italiani non piacciono le leggi, e siccome le leggi di Mussolini, e anche la sua politica e la sua propaganda, condannavano gli stranieri, proprio per questo gli italiani li hanno aiutati. Agli italiani non piacciono le leggi, anzi gli piace disobbedirle: è il loro gioco, come il gioco dei russi sono gli scacchi. Gli piace imbrogliare; essere imbrogliati gli dispiace, ma non tanto: quando qualcuno li inganna, pensano << vedi che bravo, è stato più furbo di me >>, e non preparano la vendetta ma tutt'al più la rivincita. Come agli scacchi, appunto.

Quando il cibo scaduto si può mangiare. Senza problemi.

Il cibo scaduto è sempre da buttare? Assolutamente no. E da questo equivoco nascono molti dei nostri sprechi alimentari (circa il 20 per cento della spesa in Italia finisce nella spazzatura). La normativa europea, innanzitutto, distingue la dicitura “da consumare entro il…” che si applica al cibo fresco ad alta reperibilità, dalla dicitura “consumare preferibilmente entro…” che indica un termine entro il quale il prodotto non diventa pericoloso o dannoso ma semplicemente perde alcune caratteristiche organolettiche. Un esempio: lo yogurt si può mangiare anche dieci-quindici giorni dopo la sua data di scadenza, al massimo contiene meno fermenti lattici. L’olio sei mesi dopo la scadenza é sempre ottimo, come la pasta e i pelati, mentre le uova è preferibile consumarle non oltre una settimana dalla data di scadenza. L’equivoco del cibo scaduto è talmente macroscopico che in Inghilterra, dove i controlli alimentari sono rigorosissimi, dopo la Grande Crisi sono esplose le vendite on line della società Approved Food che vende, a basso costo, cibo scaduto ma perfettamente commestibile. Infine un semplice consiglio pratico: il primo modo per non sprecare cibo è non esagerare con la spesa. Non siamo in tempi di guerra, e non abbiamo bisogno di scorte eccessive che poi finiscono nel cestino dell’immondizia.

Cantares - Antonio Machado

Tutto passa e tutto rimane
però il nostro è passare,
passare facendo cammini
cammini sopra il mare.

Mai ho cercato la gloria,
né di lasciare il mio canto
alla memoria degli uomini;
io amo i mondi delicati,
lievi e gentili
come bolle di sapone.

Mi piace vederle quando si colorano
di giallo e carminio, volare
sotto il cielo azzurro, tremare
d'improvviso e poi scoppiare.

Mai ho cercato la gloria.

Viandante sono le tue impronte
la via e nulla più:
Viandante non c'e un cammino
si fa il cammino camminando.

Camminando si fa il cammino
e voltando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.

Viandante non c'è una via
ma scia sul mare ...

Qualche tempo fa in questo luogo
dove oggi i boschi si vestono di spine
si sentì la voce di un poeta gridare
"Viandante non c'è cammino
la via si fa con l'andare..."

Colpo dopo colpo, verso dopo verso ...

Morì il poeta lontano dal focolare.
Lo copre la polvere di un paese vicino
Al momento dell'addio lo videro piangere.
"Viandante non c'è un cammino
la via si fa con l'andare..."

Colpo dopo colpo, verso dopo verso ...

Quando il cardellino non può cantare
quando il poeta è un pellegrino.
Quando a nulla ci serve pregare.
"Viandante non c'è cammino
la via si fa con l'andare..."

Colpo dopo colpo, verso dopo verso ...

Perché chiamare cammini
i solchi del caso?
Tutto quello che cammina va
come Gesù, sopra il mare

Viandante, sono le tue impronte
il cammino e nulla più;
Viandante non c'è un cammino
la via si fa con l'andare..."

Camminando si fa il cammino
e girando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai
si deve tornare a calpestare.

Viandante non c'è un cammino
ma le stelle nel mare ...

Si comincia!!

Ciao a tutti ragazze e ragazzi,

da un pò di tempo pubblico delle note su FB e poi taggo vari miei amici; pian piano ho notato che ci stavo prendendo gusto, allora ho pensato che forse era una buona idea crearmi un blog tutto per me, anzi, per noi!
Il titolo che ho scelto, appunti pindarici, fa intendere che i blog non avranno mai un'unica tematica, ma di sicuro non troverete mai gossip o altre cavolate! In rete (ma anche in tv e alla radio) si trovano molte notizie interessanti, sul passato, sul presente o sul futuro: ogni tanto ne sento qualcuna che vorrei bloccare, segnare, e allora nasce un "appunto pindarico"!
I primi post che pubblicherò sono alcune delle note già presenti nel mio profilo di FB, lo faccio proprio perchè non le voglio perdere, e metterle insieme a tutti gli altri post che verranno.
Spero che riuscirò a colpire anche solo per un attimo la vostra curiosità...la vostra mente insomma, perchè lasciarla addormentare e farsi offuscare da Grande Fratello, Uomini e Donne e tutto il resto, è davvero un bello spreco!

A presto!!