venerdì 24 aprile 2015

Angelo Lionti, un partigiano piazzese.

Per me il 25 aprile è sempre stata una data molto importante, sarà un caso, ma è anche il giorno di San Marco.
L'intervista che segue è tratta dal libro "Per non dimenticare", raccolta di testimonianze di reduci della II guerra mondiale, curata da Ignazio Nigrelli.
Anche Piazza Armerina ha una storia della Resistenza da raccontare.

Buona lettura.

Mi chiamo Lionti Angelo e sono nato a Piazza Armerina il 25.8.20. Quando scoppiò la guerra ero già sotto le armi quale Carabiniere presso la Legione allievi a Roma, da qui fui trasferito al Gruppo Carabinieri di Pastrengo V.LE Romania: poiché si doveva costituire una sezione celere aderii volontario e ai primi di Gennaio fui trasferito in Albania presso la 384 sezione Celere. Ci imbarcammo a Bari e sbarcammo a Durazzo, eravamo una settantina di cui metà motociclisti e metà a cavallo, io appartenevo alla sezione a cavallo. Qui potei assistere, già il primo giorno di arrivo, ad un cruento bombardamento ad opera dei greci che produsse diversi danni agli alloggi ove eravamo destinati. Da Durazzo fui trasferito ad Elbasan ove cominciai il mio servizio presso il Comando dell'Armata, io fui destinato al servizio di smistamento dei prigionieri. Qui non ho nulla di particolare da evidenziare se non diversi bombardamenti perpetrati dai greci. Rimasi in Albania fino alla capitolazione della Grecia e Jugoslavia (aprile 1942), da qui il mio reparto fu trasferito in Kosovo, e precisamente a Pec, ove attualmente c'è il nostro contingente di soldati e posso dire che fummo destinati a vigilare sull'incolumità dei residenti i quali subivano continue aggressioni da parte dei serbi, così come avviene oggi. 
Successivamente siamo rientrati a Tirana, io da qui fui trasferito a Firenze ed ammesso al corso per sott'Ufficiali (ottobre 1942).Quale vice brigadiere fui destinato a Roma in forza alla stazione di Ponte Milvio prima e a Monte Mario dopo, siamo già nel 1943. Ricordo che spesso facevo servizio lungo la strada ove abitava la sig.ra Petacci. Dopo di che fui inviato a comandare un posto fisso, sempre a Roma, con oltre settanta uomini,. (aprile-maggio 1943).Da qui potei assistere alla caduta del fascismo e alla ascesa di Badoglio (25 luglio 1943). Fu proprio il mio gruppo, nella persona del maresciallo maggiore Osvaldo Antichi che ebbe l'incarico di custodire Mussolini: a tale proposito debbo dire che la scelta dell'Arma per la sua custodia fu voluta personalmente dallo stesso duce, ciò però ci alienò le simpatie dei fascisti da cui ci dovevamo continuamente guardare; diventammo un reparto a rischio in quanto preso di mira dai fascisti. Arriva così la notizia dell'armistizio. Assistetti allo smembramento del nostro esercito, chi fuggiva a destra e chi a sinistra. 
Io assieme ad altro commilitoni decidemmo di rimanere e lottare partecipando all'organizzazione che il generale dei Carabinieri Filippo Caruso aveva creato, il "centro clandestino" dei carabinieri contro l'occupazione nazista di Roma, nota come "banda Caruso", appunto. Gli ordini erano di agevolare la ritirata dei tedeschi e reagire solo nel caso in cui avessimo riscontrato resistenza. Ricordo che pur di espletare il mio dovere vivevo continuamente affrontando il pericolo e con mezzi di fortuna. Una volta dormivo in un sottoscala, un'altra dentro un tram ecc. Si sopravviveva con espedienti. Ad ogni modo riuscii a mettere assieme un gruppo di uomini, non solo Carabinieri ma anche qualche civile, e costituire una resistenza ai tedeschi che ci davano continuamente la caccia, soprattutto lo squadrone fascista di Pollastrini.. 
Ricordo diverse azioni in cui sottraemmo molte armi ai tedeschi, per esempio, il 20 settembre del 1943, con altri, riuscì ad entrare e prelevare una mitragliatrice Breda, due fucili mitragliatori con più di 2000 colpi nella polveriera dell"Acqua Traversa", già occupata dai tedeschi, il 25 settembre '43 assieme al carabiniere Antonio Ceci disarmammo due tedeschi in Viale delle Medaglie d'Oro, il 20 ottobre sempre di quell'anno rubai due mitra da una camionetta tedesca lasciata incustodita. Il 7 ottobre ero riuscito a sottrarmi alla cattura dei tedeschi e a mettere in salvo tutti i carabinieri del Posto Fisso del Forte di Monte Mario, mettendo in salvo tutte le armi in dotazione nascondendole in piccoli depositi in un bosco vicino. Il 10 ottobre del 43, dopo nuovi accordi con il maresciallo Antichi, formai la mia squadra, costituì anche un plotone di 30 civili armati abitanti a Belsito, in Viale delle Medaglie d'Oro e in via Trionfale. Il 28 ottobre del '43 mi introdussi nella sede della Legione dei Carabinieri del Lazio e portai via dei timbri per timbrare licenze false per far ottenere le carte annonarie a parte dei carabinieri sbandati. Nel dicembre del '43 riuscì impedire che un deposito di armi clandestino sotto il forte di Monte Mario venisse consegnato ai tedeschi, convincendo un maresciallo maggiore a non rivelarne l'esistenza. Alla fine del 1943 cercai di organizzare un attentato contro il maresciallo Kesserling: avevo saputo che frequentava abitualmente la villa del conte Miani requisita dai tedeschi: dopo un pedinamento e sopralluoghi, il gruppo da me preparato pronto, venni consigliato di soprassedere per non compromettere la popolazione civile, sempre a dicembre cercai di far saltare una potente stazione radio trasmittente al forte di Monte Mario, ma le bombe tedesche che dovevo usare non potevano distruggere la fortissima difesa delle strutture e dei venti uomini di guardia, perciò dovetti desistere, anche perché il tentativo fu scoperto e sparando colpi di pistola riuscì ad eclissarmi. 
Nel gennaio del 44 fui avvertito che il capitano tedesco Lank e il repubblichino Patrizi avevano disposto il mio arresto e perciò dovevo allontanarmi dalla zona di Monte Mario. Nel '44 ricordo altri episodi tra i quali il salvataggio di diversi prigionieri alleati spostandoli dalla località di Prati in una villetta di Via Flaminia; assieme all'avvocato Rodolfo Passerini e al dottore Barela accompagnammo un soldato britannico, William Harris, alla villetta, in pieno mezzogiorno, mentre i tedeschi presidiavano la zona. Nell'aprile del '44, grazie ad alcune conoscenze andai al Ministero dell'Africa Italiana e ritirai molti caricatori di mitra e diverse bombe a mano che poi nascosi nell'orto della fornaia di Belsito. Inevitabile fu la loro reazione: si intensificarono i rastrellamenti e le esecuzioni. 
Avevo trovato rifugio in via Clivo di Cinna, verso le ore 23, a causa di un tradimento anch'io, assieme ad alcuni dei miei uomini, fui arrestato; già in quel rifugio cominciarono a interrogarmi: domande e colpi di scudiscio si alternavano, ma io non volli e non potevo tradire; da lì mi ordinarono di uscire, io li precedevo di alcuni passi, perciò, riuscì di nascosto a tirare dalla tasca la nota scritta dei miei compagni e ingoiarla. Fui condotto in carcere a Regina Coeli, nel III Braccio, in una cella individuale, era il 2 maggio 1944. Qui fui più volte "interrogato" sia da italiani sia da tedeschi e picchiato selvaggiamente per farmi confessare i nomi dei miei carabinieri che lottavano contro i tedeschi. Non dissi mai una parola e a causa di ciò erano talmente i pestaggi che subivo che spesso svenivo dal dolore: usavano lo scudiscio e bastoni muniti di chiodi. Conservo ancora la foto della camicia che indossavo, tutta macchiata di sangue. Venni interrogato per circa dodici volte dal 2 al 17 maggio, con bestialità, brutalmente, ma da me non ebbero mai la confessione. 
Tentarono di farmi contraddire mettendomi a confronto con altri prigionieri che conoscevo e che mi conoscevano, senza riuscire a piegarmi ai loro voleri, nonostante il mio corpo fosse ormai ridotto ad una piaga, nonostante non potessi più dormire per il dolore. Le mie condizioni erano tali che due dei medici del III Braccio di nascosto mi passavano delle pillole calmanti che lenivano un po' il dolore, dandomi così la felicità di qualche ora di sonno. In carcere conobbi un piazzese di nome Saverio Arcurio con cui organizzai un comitato che si incaricò di redigere un piano per l'evasione dei detenuti. Avevamo diversi problemi tra cui quello che riguardava l'evacuazione di diverse donne, per lo più mogli di alti ufficiali italiani datisi alla macchia; non potendo arrestare i mariti avevano pensato di detenere le mogli. Venne però il tempo del processo che si svolse il 31 maggio 1944: nell'arco di un pallido pomeriggio uno squallido tribunale germanico dopo un interrogatorio farsa mi condannò alla pena capitale mediante fucilazione. Ritornai in carcere con l'animo di chi doveva essere ucciso da lì a qualche giorno. Dentro di me venivano in mente tanti pensieri, i miei affetti più cari, la mia terra di Sicilia, Piazza
Non mi perdetti d'animo, anche perché sentivamo le confortanti notizie sull'arrivo imminente degli alleati. Ma un giorno ascoltammo dei passi sinistri lungo i corridoi di Regina Coeli. Era il plotone di esecuzione che veniva a prelevare i condannati a morte. Diverse esecuzioni furono messe in essere, io però mi salvai grazie alla fortuna e ad uno stragemma che mi consentì di sopravvivere e di raccontare la mia vicenda. Di lì a poco i tedeschi si ritirarono e i nostri custodi diventarono gli austriaci, oltre ai collaborazionisti italiani. Prendemmo coraggio ed un giorno decidemmo la sommossa. 
La mattina del 4 giugno '44 ci tenemmo tutti pronti per un'azione di forza contro i nostri sicari; il comandante Saverio Arcurio riuscì a "convincere" la guardia armata che tutti eravamo disposti a vendere cara la nostra pelle, alle ore 12 ci ritrovammo nuovamente fuori, ma con un'aria diversa, non c'erano più tedeschi. I'indomani cercai di riprendere contatto con i miei uomini, però non fu possibile; a Belsito trovai altri carabinieri e patrioti coi quali accerchiammo e costringemmo alla resa due militi fascisti, cercai di bloccare il vicebrigadiere della PAI Gragnani che però riuscì a sfuggirmi e a dare l'allarme alla vicina caserma della PAI dalla quale vennero fuori 18 uomini che alla fine pensarono bene di darsela a gambe abbandonando nelle nostre mani la caserma dove trovammo anche l'elenco della squadra del fascista Gragnani.
Io non potei partecipare all'arrivo degli americani a Roma in quanto fui inviato in convalescenza a causa delle ferite riportate durante gli i pestaggi cui venivo sottoposto in carcere. Quando ritornai a Roma, a guerra già finita e col grado di Maresciallo, fui inviato a comandare la Stazione di S. Pietro; sono stato io ad intervenire e a sedare la prima rivolta di detenuti comuni del dopoguerra nel carcere di Regina Coeli in Roma.

martedì 14 aprile 2015

Bloccato l’elettrodotto per collegare la Sicilia al continente.

Pure i NO-pilone...non si rendono neanche conto che vanno contro gli interessi degli stessi siciliani e di tutti gli italiani.
Parlo di interessi ambientali, oltre che economici:
  • minor utilizzo di energia rinnovabile (sia in export che in import);
  • maggiori emissioni di CO2 dovute ad impianti obsoleti che in mancanza del cavo devono necessariamente continuare a funzionare, ma che chiuderebbero subito con l'attivazione del collegamento;
  • utilizzo di linee vecchie che andrebbero dismesse;
  • maggiori costi dell'energia (anche al di fuori della Sicilia): solo per la Sicilia hanno dovuto fissare un tetto massimo al prezzo; 
  • e come ciliegina sulla torta, tanti bei soldi per chi l'energia elettrica, in Sicilia, la vende.

Ma queste cose di sicuro gli attivisti dei NO-pilone le avranno considerate molto bene.
Buona lettura.


Articolo pubblicato il giorno 2 aprile 2015 sul sito web Contro l’Italia dei NO

Ci mancava il comitato anti-pilone nel variegato esercito dei No a tutto. Tranquilli, l’abbiamo trovato, e grazie alla sua denuncia  presentata nel 2013 alla procura di Messina, si è ottenuto il sequestro del sostegno N.40 del tratto siciliano  dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi. Opera elettrica tra le più importanti per il paese che deve congiungere l’isola con la rete sul continente, assicurando così la sicurezza del fabbisogno elettrico della Sicilia, rimuovendo le strozzature di rete e calmierando il consueto esorbitante prezzo dell’elettricità  siciliana. Impennate che avvantaggiano gli operatori elettrici isolani ma costano a famiglie e imprese della Trinacria; solo nella scorsa estate, 600 milioni di euro, per un totale, a tutto il 2014, di oltre 4 miliardi di euro di mancati risparmi. Insomma, un’opera necessaria non solo per le tasche degli utenti siciliani, ma anche indispensabile per l’ammodernamento di un’infrastruttura di trasmissione che deve diventare sempre più interconnessa e integrata con le fonti rinnovabili per realizzare l’agognata transizione verso una generazione low carbon che sta a cuore di tutti. O no?

Cinque anni di iter autorizzativo, oltre 100 incontri e sopralluoghi con le comunità locali, e i pareri positivi di oltre 80 enti interessati non sono stati sufficienti per rassicurare l’opinione pubblica locale che la difesa del territorio e la tutela della salute pubblica erano state ampiamente esaminate e valutate. Invece, improvvisamente, a lavori quasi ultimati, a pochi mesi dell’entrata a regime dell’elettrodotto, grazie all’attivismo dell’associazione Mediterranea per la Natura Onlus (MAN), è stato riconosciuto come vigente, sebbene sia ancora ancora in corso di approvazione, il piano paesaggistico dell’ambito regionale 9 della provincia di Messina nel quale rientra il comune di Saponara in cui si trova il crinale di Monte Raunuso dove è posizionato il pilone incriminato.

Alla beffa per gli utenti italiani che in bolletta si ritroveranno comunque i 700 milioni di euro di investimento spesi da Terna per realizzare un’opera inutilizzata, si aggiunge il paradosso di un’amministrazione che rilascia pareri che si rimangia, di una burocrazia che avanza per ritrarsi. E’ perlomeno stravagante che,  l’organo preposto alla valutazione, cioè la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina, nel corretto esercizio della propria discrezionalità tecnico-amministrativa, abbia revocato il parere positivo già espresso sull’opera senza preoccuparsi del significato di andare contro, e non adempiere, all’interesse pubblico; così com’è sconcertante che l’autorizzazione sia stata rilasciata dalle medesime istituzioni che hanno poi approvato il piano paesaggistico che vincola l’opera.

Perdita secca invece, dal punto di vista ambientale. Il territorio  non potrà beneficiare del piano di dismissioni connesse alla realizzazione dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi. Con la sua messa in esercizio, ora con il blitz giudiziario procrastinato sine die, sarebbero state rimosse ben 87 km di vecchie linee, poste in vicinanza di 1.151 edifici, 636 dei quali nell’area a elevato rischio di crisi ambientale della Valle del Mela.


lunedì 13 aprile 2015

Piazza Armerina, spari contro un furgone: autista illeso

Riporto un articolo tratto dal Giornale di Sicilia, risalente a ieri (12 aprile). Mi stupisco come ancora una volta gli organi di stampa piazzesi non abbiano (ancora) dato alcuna notizia a riguardo...ho aspettato tutta la mattina prima di scrivere questo post.
Ovviamente è una notizia su cui andrebbe fatta luce e chiarezza, e spero che il ritardo dei media piazzesi sia dovuto a questo impegno nel chiarire un pò meglio la vicenda. 
Rimane però il fatto che a 24h di distanza ancora non si sia letto nulla a riguardo.
Teniamo sempre alta la guardia su eventi che potrebbero essere legati alla mafia.

Ad ogni modo, ecco l'articolo, a firma di Roberto Palermo.

Il dipendente di una impresa edile era alla guida del mezzo che è stato raggiunto da diversi colpi di arma da fuoco. L’«avvertimento» è avvenuto ieri mattina.

PIAZZA ARMERINA. Colpi di arma da fuoco ieri mattina sulla fiancata di un furgone guidato dall’impiegato tuttofare di un’impresa della città dei mosaici. Misteriosa «intimidazione» quella che avrebbe coinvolto un dipendente di un’impresa edile mentre stava iniziando la sua giornata di lavoro come tante altre mattine. Gli uomini del commissariato armerino che conducono le indagini insieme ai colleghi della Squadra Mobile di Enna mantengono sull’episodio uno strettissimo riserbo. L’uomo sarebbe uscito a bordo del furgone dalla sede dell’impresa quando sarebbero partiti alcuni spari, si presume da un fucile, che avrebbero raggiunto il veicolo sul lato sinistro.
I colpi di fucile sarebbero stati sparati forse da un boschetto vicino, con l’autore dell’agguato che si sarebbe riparato tra alcuni cespugli, facendo poi perdere le proprie tracce nei secondi successivi agli spari. Per fortuna l’uomo al volante del furgone è uscito incolume dalle fucilate, non riportando alcun graffio, ma certo rimanendo fortemente impaurito non appena si è resoconto di quanto era successo. Si seguono nelle prime fasi dell’inchiesta tutte le piste possibili.

sabato 4 aprile 2015

La lettera di Samir

Mi trovo per alcuni giorni in Sicilia, la mia terra, luogo di arrivo e di partenze, anche per me. 
Forse per questo mi sono imbattutto praticamente subito in una lettera di un ragazzo egiziano di circa 20 anni, Samir. E' una lettera alla sua amata, che in quel momento si trovava ancora in Egitto.
Samir però non ce l'ha fatta: è arrivato cadavere a Pozzallo.

Mio adorato amore,
per favore non morire, io ce l'ho quasi fatta.
Dopo mesi e giorni di viaggio sono arrivato in Libia.
Domani mi imbarco per l'Italia. Che Allah mi protegga.
Quello che ho fatto, l'ho fatto per sopravvivere.
Se mi salverò, ti prometto che farò tutto quello che mi è possibile per trovare un lavoro e farti venire in Europa da me. Se leggerai questa lettera, io sarò salvo e noi avremo un futuro. Ti amo, tuo per sempre.

Samir