venerdì 12 ottobre 2012

Il discorso alla luna - Papa Giovanni XXIII


Un discorso che racchiude tutto lo spirito del Concilio Vaticano II.
La semplicità e l'affetto di queste parole superano, in potenza espressiva, a mio avviso, qualsiasi ghost-writer specializzato nella scrittura di discorsi.

Buona lettura.

Se domandassi, se potessi chiedere ora a ciascuno: voi da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui specialmente rappresentati, risponderebbero: ah, noi siamo i figli più vicini, e voi siete il nostro vescovo. Ebbene, figlioli di Roma, voi sentite veramente di rappresentare la ‘Roma caput mundi’, la capitale del mondo, così come per disegno della Provvidenza è stata chiamata ad essere attraverso i secoli.
La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza… E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte”.

lunedì 1 ottobre 2012

Lettera ad un kamikaze - Khaled Fouad Allam


Un interessantissimo brano tratto dal libro "Lettera ad un kamikaze" di Khaled Fouad Allam.
I Radiodervish l'hanno inserita in un loro cd, e così l'ho conosciuta anche io, qualche anno fa.
La lettera fornisce ottimi spunti.

"La pluralità delle fedi è la traduzione dell'unicità divina".

Buona lettura.

Sono le cinque del mattino. Ti alzi, fai le tue abluzioni rituali, hai già recitato la Salat al-Janazah, la preghiera dei morti, tra poco inizierai Salat al-Fajr, la preghiera dell'alba. Fuori il mattino sorge, ma è la notte che si stenderà sul mondo.
Prendi il tuo ultimo bicchiere di tè, sei solo con te stesso. Hai ripetuto mille volte i gesti dalla tua missione, mentalmente conosci i mille passi che devi compiere e ti senti investito di potenza.
Sono le cinque del mattino a Gerusalemme, le quattro a Roma e Parigi, le ventidue a New York. Esci di casa, ti senti leggero, libero più che mai perché da questo momento i tuoi gesti saranno irripetibili.
Ti scrivo, mentre stai camminando con passo rapido, meccanicamente. Tra poco consegnerai al mondo angoscia e orrore. Certo, ti hanno detto che tutto questo lo farai in nome dell'Islam, sarai uno …shahid, un martire. Per lunghi mesi ti hanno insegnato, fino a scolpirlo nella tua mente che Dio sceglie chi deve restituirgli la vita che lui ha dato e che la sua grazia che attraversa la vita si prolunga oltre la morte resuscitando l'uomo in paradiso. 
Ma questi maestri dell'orrore non hanno fatto altro che rubarti la vita e trasformare il tuo corpo in uno strumento per i loro piani di distruzione. Credimi sono stati abili nel convincerti a toglierti quel soffio di vita, quella sostanza con cui Dio ci ha mandati sulla terra.
La morte non è mai una vittoria, quando trascina con se le ombre inquiete della nostra incapacità di capire. Quante volte mi sono chiesto come tutto ciò sia potuto accadere. Quante volte mi sono chiesto se è perchè il dolore del mondo è così grande che la distruzione sembra rappresentare l'unica reazione possibile. E' perché sono infelici che gli uomini sono così crudeli.
Così ti scrivo, che tu sia di Cecenia, di Palestina , di Indonesia, di Iraq o di qualche paese d'Europa o d'Occidente.
Ti scrivo perché forse per tutti noi Musulmani è venuto il tempo di confrontarci, di spezzare un lungo silenzio pieno di immani tragedie , di sofferenze, di dolore. Ma il mondo intorno a noi ci chiede di testimoniare che la violenza non può essere lo strumento per risolvere i conflitti, che la pluralità delle fedi è la traduzione dell'unicità divina.
Perché Dio non può mostrarci la sua unicità se non attraverso la molteplicità delle esistenze e delle testimonianze.

martedì 14 agosto 2012

Il portiere - Vladimir Nabokov


Altro regalo firmato Radio 1.
Per un portiere, queste parole non possono non emozionare.

Buona lettura

Dei giochi praticati a Cambridge, il calcio è rimasto per me un terreno spazzato dal vento nel mezzo di un periodo piuttosto confuso. Stravedevo per il ruolo di portiere.
In Russia e nei paesi latini quella nobile arte è sempre stata circondata da un'aura di particolare fascino. Appartato, solitario,impassibile, il portiere fuoriclasse è seguito per strada da ragazzini estasiati. Oggetto di eccitata adulazione, si trova a competere con il matador e con l'asso dell'aeronautica. La maglia, il berretto a visiera, le ginocchiere, i guanti che gli spuntano dalla tasca dei pantaloncini lo distinguono dal resto della squadra.
È l'aquila solitaria, l'uomo del mistero, il difensore estremo. I fotografi, piegando con reverenza un ginocchio, gli scattano un'istantanea nell'attimo in cui lui si tuffa davanti alla porta deviando con la punta delle dita un fulmineo tiro rasoterra, e lo stadio ruggisce d'approvazione mentre lui resta lungo disteso per qualche istante nel punto in cui è caduto, la porta ancora inviolata.

domenica 12 agosto 2012

Tredicesima partita - Umberto Saba


Ieri Radio 1 mi ha regalato questa poesia.
Chi, da ragazzo, ha giocato a calcio con gli amici fino a quando era tanto buio da non vedere più la palla, forse sentirà la stessa la sensazione che ho provato io nell'ascoltarla.

Buona lettura


Sui gradini un manipolo sparuto
si riscaldava di se stesso.
E quando
- smisurata raggiera – il sole spense
dietro una casa il suo barbaglio, il campo
schiarì il presentimento della notte.
Correvano sue e giù le maglie rosse,
le maglie bianche, in una luce d’una
strana iridata trasparenza. Il vento
deviava il pallone, la Fortuna
si rimetteva agli occhi la benda.
Piaceva
essere così pochi intirizziti
uniti,
come ultimi uomini su un monte,
a guardare di là l’ultima gara.

sabato 23 giugno 2012

Piaceri - Bertolt Brecht -

Ritorno ad "appuntare" un'opera di Brecht. Questa poesia me l'ha fatta leggere un'amica, proprio qualche minuto fa.
Nella parte finale, quell'uso dell'infinito mi ha fatto sentire gli ultimi versi quasi come un'esortazione: 
"viaggiare, cantare, essere gentili". O forse sono io che li voglio vedere così.
Ma il bello della poesia non è proprio questo?
Mi piacerebbe chiedere ad ognuno di voi che leggerà, qual è, tra questi versi, il "piacere" o (i piaceri) che preferisce.

Buona lettura.

Il primo sguardo dalla finestra al mattino
il vecchio libro ritrovato
volti entusiasti
neve, il mutare delle stagioni
il giornale
il cane
la dialettica
fare la doccia, nuotare
musica antica
scrivere, piantare
viaggiare
cantare
essere gentili.


venerdì 1 giugno 2012

Carlo Alberto dalla Chiesa ai suoi uomini.

Questi non sono i dialoghi di un film americano, nè mission impossible.
Questo è il discorso che Carlo Alberto dalla Chiesa ha fatto ai suoi 150 uomini del Nucleo Speciale Antiterrorismo, prima di iniziare lo scontro finale con le Brigate Rosse (il termine "scontro finale" non è affatto esagerato). Era il giugno del 1978.
Questa è la realtà.

Da oggi nessuno di voi ha più un nome, una famiglia, una casa. Da adesso dovete considerarvi in clandestinità. Io sono il vostro unico punto di riferimento. Io vi darò una casa, io vi ordinerò dove andare e cosa fare.
Il Paese è terrorizzato dai brigatisti.

Da oggi saranno loro che devono cominciare ad avere paura di noi e dello Stato.


giovedì 31 maggio 2012

Ricordi su Pio La Torre

Ho appena letto una breve testimonianza su Pio La Torre.
Si parla di lui, del suo assassinio e della manifestazione di Comiso contro i missili americani.
C'erano pure i miei genitori a quella manifestazione.
Chi parla è Rosolino Cottone, amico intimo di Pio, ex partigiano. 
Nome di battaglia: "Esempio".


Mi chiamo Rosolino Cottone, di Palermo, ho 80 anni. Ho fatto il partigiano sull'Appennino tosco-emiliano con la 31° Brigata Garibaldi. Per quell'esperienza mi hanno fatto fare la guardia del corpo prima a Li Causi e poi a La Torre...
Con Pio abbiamo cresciuto insieme. Io gli andavo sempre dietro. Ero armato, certo, ma l'arma non me la vedevano mai.
Con La Torre eravamo due fratelli. Lui era uguale a noi, era un combattente. Poi io sono diventato anziano.
La cosa che più ricordo di lui quella mattina a Palermo, che lui non si meritava di morire. In che senso mi ricordo? L'autista di La Torre si chiamava Di Salvo, e a lui non ci arrivò la mente che quando camminava con la macchina, quella mattina un'altra macchina ci andava dietro.
La Torre abitava in corso Pisani e la sera prima mi dice a me: "Cottone, mi raccomando, domani mattina verso le otto a casa mia". Alle otto ero lì, ma che ne sapevamo che gli assassini erano già lì anche loro? Erano giù.
In casa La Torre dice a Di Salvo: "Fai il caffè a Rosolino, che deve andarmi a fare delle commissioni". Io ho preso il caffè e sono andato. Arrivo in federazione verso le nove e mezzo e il portiere appena mi vede mi urla:"Cottone! Ammazzarono a La Torre e Di Salvo".
"Ma cosa dici?", urlai io, ma corsi via come un dannato, la polizia cercò di bloccarmi, ma urlavo dalla rabbia e mi fecero passare e arrivai alla macchina tutta insanguinata.
La Torre è sepolto qui, ai Cappuccini. Si può entrare ai Cappuccini, sulla lapide c'è scritto il suo nome. Era un bravissimo compagno, duro e forte.
Mi dice a me, eravamo a Comiso, la mattina del grande comizio. C'erano tanti contadini, tanti operai venuti a Comiso per il discorso di La Torre, erano più di cinquemila anche dai paesi attorno.
Allora La Torre mi dice a me: "Comandante ma pecchè sono accussì poco?", così mi parlava, e io gli faccio: "Scusa La Torre, sono più di cinquemila. Tu quanti ne vuoi?", ci faccio a lui.
Non si contentava mai, voleva sempre di più nella lotta popolare.

Mio fratello aviatore - Bertolt Brecht

Ieri sera, pensando al mio esame di tedesco alla maturità, mi è tornata in mente questa poesia. 
Molti di voi la conosceranno già, ma la voglio fermare, appuntare, ricordare.
E' una poesia secca, sarcastica, amarissima.

Buona lettura.

Avevo un fratello aviatore.
Un giorno, la cartolina.
Fece i bagagli, e via,
lungo la rotta del sud.

Mio fratello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio; e prendersi terre su terre,
da noi, è un vecchio sogno.

E lo spazio che s'è conquistato
è sui monti del Guadarrama.
E' di lunghezza un metro e ottanta,
uno e cinquanta di profondità.


lunedì 28 maggio 2012

Come conquistare una radical-chic.


Oggi una mia amica mi ha mandato il link di questo post, scritto sul blog MAMMAbuttaLAPASTA.
Un decalogo ironico su come conquistare una ragazza radical-chic, ultima frontiera dell'omologazione.

Buon divertimento!

Le radical-chic si sa, piacciono un po’ a tutti.
sarà per quel capello da ‘la casa nella prateria’ o per la possibilità di sentirci fighi offrendogli una menabrea da 2 euro.
MAMMAbuttaLA PASTA vi da le mosse giuste per limonarvi duro una radical senza troppi sbattoni, evitando appuntamenti in locali osceni e puzzolenti tipo il frida o il Biko e per i più arguti la possibilità addirittura di farsela senza avere la tessera ARCI.

1- aprite il cassetto e recuperate il nokia 3310 che avevate in prima liceo, nascondete per bene il vostro Blackberry

2- ripulite il vostro profilo di facebook da tutte le foto di troione mezze nude e post sul calcio

3- predisponete casa vostra come segue:
andate al libraccio sui navigli o ai mercatini ed acquistate rigorosamente usati:
Libri di flaubert, zola, verga, rimbaud, verlaine, Baudelaire e Svevo.
Riponeteli tutti nella vostra libreria di design  accanto alla discografia di Sergio Cammariere e di Guccini, ad eccezione di un testo che lascerete in bella vista sul  tavolino del salotto accompagnato ad una copia de ‘L’internazionale  e ad un sigaro mezzo fumato.
Appendete alle pareti le foto che ritraggono voi tra gli altopiani del Nepal.Possibilmente in Bianco e nero

4- invitatela allo spazio oberdan per un qualunque evento, meno gente ci sarà più punti avrete guadagnato.
(è un evento di nicchia sai, non tutti possono capirlo e c’è da dire che anche il fatto che sia alle 4 di pomeriggio non aiuta, molti lavorano ma potrebbero chiedere un permesso, la cultura prima di tutto)

5- presentatevi in bicicletta fischiettando ludovico einaudi con le clarks ai piedi

6- finito l’evento invitatela a casa vostra per un aperitivo. (fondamentale aver già perfettamente attuato punto 3)

7- mettere in sottofondo la musica di john coltrane

8- preparate un aperitivo tutto bio

9-raccontatele di quanto milano sia diventata invivibile e ditele che il vostro sogno è aprire una trattoria a Gubbio:
rimarrà a bocca aperta

10- approfittatene e limonatela.

venerdì 25 maggio 2012

Da un ghazal di Hafez

Ho letto questa parte di un ghazal, un tipo di componimento di origine persiana, poi diffuso anche in lingua pashtu, kashmiri e infine anche in inglese e tedesco.
Questo ghazal fu scritto da Hafez, il più importante scrittore di ghazal, vissuto nel XIV secolo.


Mi è piaciuto, spero anche a qualcun altro che lo leggerà.
Buona lettura.

Giuseppe ritornerà nella terra di Canaan, non piangere,
il deserto diventerà un giardino di rose, non piangere.
Dovesse arrivare il diluvio e annegare ogni creatura vivente,
Noè sarà la tua guida nell'occhio del ciclone, non piangere.


venerdì 18 maggio 2012

Silenzio e parola

Il brano che riporto è tratto dal messaggio di Benedetto XVI per la 46° giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
Non ho scritto il nome dell'autore nel titolo per evitare che qualcuno con i soliti pregiudizi evitasse di leggerlo solo per questo.
Le tematica del silenzio e la sua sacralità mi ha sempre attirato.
Spero farà riflettere anche voi.

Buona lettura.

Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci. Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione umana più piena. 
Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolarmente intensa. Dal silenzio, dunque, deriva una comunicazione ancora più esigente, che chiama in causa la sensibilità e quella capacità di ascolto che spesso rivela la misura e la natura dei legami. Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio. Una profonda riflessione ci aiuta a scoprire la relazione esistente tra avvenimenti che a prima vista sembrano slegati tra loro, a valutare, ad analizzare i messaggi; e ciò fa sì che si possano condividere opinioni ponderate e pertinenti, dando vita ad un’autentica conoscenza condivisa. Per questo è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di “ecosistema” che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni.

martedì 15 maggio 2012

L'omelia di Sagunto contro i mafiosi - Card. Pappalardo


Leggendo un libro, ho saputo della famosa "Omelia di Sagunto" pronunciata dal Cardinale Pappalardo il 4 settembre 1982, al funerale del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di sua moglie Emmanuela Setti Carraro. Uccisi dalla mafia.
La domenica successiva, la messa che Pappalrdo celebrava all'Ucciardone, fu disertata da tutti i detenuti.

Buona lettura.


Non è facile per me, pastore di questa Chiesa, dire, e per voi, alte autorità dello Stato, del parlamento e del governo – alla significativa presenza del signor presidente della Repubblica e di tutto questo popolo – ascoltare quanto la tristissima cir­costanza in cui ci troviamo comporta che si dica e che si ascolti.
Ancora un delitto, come se i tanti che si sono succeduti non bastassero, un delitto che ha colpito a morte un perso­naggio qualificatissimo, non solo nella nostra città ma in tutta la nazione, ricolmo di riconosciuti meriti per i molteplici servizi resi alla società italiana: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, uccidendone anche la gio­vane consorte e ferendo gravissimamente l’agente di scorta: vittime tutte dell’adempimento del loro dovere.
Che dire? Mi pare che altro non possiamo se non ripetere e fare nostro il brano del libro delle Lamentazioni del profeta Geremia che abbiamo letto: Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… la continua espe­rienza del nostro incerto vagare, in alto e in basso… del nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno… (cfr. Lam., 3, 17-19). Subiamo tutti la stessa pericolosa tentazione del Profeta medesimo: che il nostro spirito si deprima e si accasci dentro di noi!
Dinanzi al ripetersi di tanti delitti, e così efferati, in tutto il suolo della nostra Italia, ed in alcune regioni in modo parti­colare, dobbiamo prendere sempre più coscienza, ognuno per la parte e per la responsabilità che lo riguarda, di quanto presenti, forti e tracotanti siano le forze del male che operano nella nostra società, per tutelare e difendere i loschi interessi di potenti fazioni, variamente denominate, terrorismo, ca­morra, mafia… che possono permettersi di affrontare aperta­mente lo Stato, offendere ed umiliare le sue istituzioni, col­pire i suoi uomini migliori.
Forze del male che non sono realtà astratte… non fantastici organismi ma persone vive e reali, possedute internamente dal Demone dell’odio, quasi incarnazione di quel Satana, nemico di Dio e dell’uomo, che nella Scrittura è detto «Omi­cida fin dall’inizio» (Gv., 8, 44) ed ispiratore di tutti gli omi­cidi che si sono effettuati sulla faccia della terra, da quel primo di Caino sino ai tanti dei nostri giorni. «Chi non ama» ci ha ricordato l’Apostolo Giovanni (Gv., 3, 44) «rimane nella morte» e diventa operatore di morte sulla faccia della terra, destinato anche lui alla morte eterna se, rigettato l’odio, non ritorna al culto dell’amore cristiano dei fratelli e al rispetto per la vita.
Si sta sviluppando invece – e ne siamo costernati spettatori – tutta una catena di violenze e di vendette tanto più impor­tanti perché, mentre così lente ed incerte appaiono le mosse e le decisioni di chi deve provvedere alla sicurezza e al bene di tutti – siano privati cittadini che funzionari ed autorità dello Stato – quanto mai decise, tempestive e scattanti sono le azioni di chi ha mente, volontà e braccio pronti per colpire… Sovviene e si può applicare una nota frase della letteratura latina, di Sallustio, mi pare: «Dum Romae consulitur … Saguntum expugnatur», mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici! E questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera Palermo!
È morto il prefetto Dalla Chiesa, è morta con lui la sua giovane consorte, a lui recentemente unitasi più per condivi­dere l’atroce immediata fine che non per passare insieme tranquilli anni di vita; è anche questo un aspetto che mostra la spietatezza, la durezza di cuore di chi ha deciso e di chi ha agito: insensibilità e durezza che potrebbero passare anche in una opinione pubblica talmente assuefatta a sì atroci delitti, da non più reagire col raccapriccio per l’accaduto e con la dovuta pietà nei riguardi delle vittime e dei loro sconsolati parenti!
Ma io vorrei che tutti, a cominciare dalla venerata mamma del generale, dai figli, dai fratelli, da tutti gli altri congiunti: anche della gentile signora, fossimo capaci di formulare in questo drammatico momento un grande, anche se difficile e sofferto atto di fede, sempre riferendoci alle parole del pro­feta Geremia che abbiamo prima ascoltato: «le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassio­ne, ma sono rinnovate ogni giorno… grande è la sua Fedeltà…, buono è il Signore con chi spera in lui… con l’anima che lo cerca… È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore…» (cfr. Lam., 3, 22-26).
Ecco il grande silenzio della morte… Ecco anche la grande nostra intima e silenziosa attesa della fede… capaci tutti di ripetere al Signore, anche se con l’ultimo straziante grido di chi muore su una croce: Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno… ed aspettare la sua immancabile risposta, quella che noi auspichiamo sia stata già riservata agli spiriti eletti del fratello nella fede Carlo Alberto e della sorella Emmanuela: «oggi sarete con me nel Paradiso» (Lc, 23, 42).

venerdì 11 maggio 2012

Essere competenti, con ironia.


Qualche giorno fa, preparando un'attività per gli scout, ho trovato questo racconto ironico.
Il tema generale è quello della competenza, comunque si possono trovare diverse chiavi di lettura, secondo me.

Buona lettura


In una nota azienda multinazionale un sistemista è stato chiamato per aggiustare un computer molto grande ed estremamente complesso… un computer del valore di 12 milioni di Euro.
L’esperto di informatica, seduto di fronte allo schermo, preme un paio di tasti, asserisce con la testa, mormora qualcosa a se stesso e spegne il computer.
Poi estrae un piccolo cacciavite dalla tasca e dà un giro e mezzo ad una minuscola vite.
A questo punto, accende il computer e verifica che funziona perfettamente.
Il presidente dell’azienda è felicissimo e si offre di pagare il conto immediatamente.

“Quanto le devo?” chiede.
“Sono Mille Euro, per cortesia” risponde il sistemista.
“Mille Euro? Mille Euro per pochi minuti di lavoro? Mille Euro per stringere una semplicissima vitina? Mi rendo conto che il computer vale 12 milioni di Euro, ma mille Euro mi sembra una cifra veramente esagerata. Pagherò solamente se mi manderà una fattura dettagliata che giustifichi una cifra del genere.”

Il sistemista acconsente con un cenno e se ne va.
Il mattino dopo il presidente riceve la fattura, la legge attentamente, asserisce con la testa e la paga immediatamente, senza una lamentela.

Sulla fattura è scritto:
Servizi effettuati:
– Avvitamento di una vitina: EURO 1
– Sapere quale vitina avvitare: EURO 999.

mercoledì 9 maggio 2012

Per Peppino, da Pino Manzella (9-11-78).

Oggi è il 9 maggio, e vorrei essere lì a Cinisi anche quest'anno.
Voglio tenermi lontano dalla retorica che ho letto in questi giorni.

Solo questa poesia, senza altre parole.

Buona lettura.

Oggi hanno deciso
che sei stato ucciso.
Per tre mesi 
ti hanno trattato 
da terrorista,
suicida
per i più generosi. Oggi
ero quasi allegro,
soddisfazione amara
saperti accettato
morto ammazzato.


domenica 6 maggio 2012

O fumarazz - Tanino Platania

Continuo con il gallo-italico.
Ho passato l'ultima ora a leggere poesie a mia nonna, e, ad ogni due versi, mia nonna aveva altri mille ricordi e mille cose da aggiungere.
Ne pubblico una che ci ha fatto veramente ridere. Ed è perfettamente attuale.
Mi spiace davvero che la fruizione sia riservata quasi esclusivamente ai piazzesi, ma ancora di più mi spiace che, anche tra gli stessi piazzesi, molti non la potranno comprendere, visto che la nostra lingua va perdendosi ogni giorno (e non può non tornare in mente quello che ci diceva Buttitta a proposito).


Buona lettura. 


Cuncè….Cuncè…!

Fulì..ch ggh’è…?

T’r’gordi, quann carusgetti,
Annav’mu a z’rchè
Nu fumarazz ‘mpuru i cauzzetti?
Beddi tempi…Cuncè!

Beddi tempi, ‘na cucca…Fulì!
Ungh z’rcava e f’rriava
F’rriava e z’rcava
Còm s’avèa sfamè,
e tu m’ veni a dì: beddi tempi..Cuncè!?!

Je t’vulea di “beddi tempi”,
p’rchè èr’mu tutti döi carusgetti,
e tutt era ‘ngiö d’frretti.
Öra ch’avöma a nostra età
Tutt par ch passà:
fàm, stenti e puv’rtà!

Fulì…! O sì sturdù
O nan ggh smecchi ciù!
S’ sbaracchi l’öggi, pöi ved ch
Fàm, stenti e puv’rtà
I trovi ancöra zzà!
Mönn ha stàit e mönn è…

A propos’t…Cuncè,
l’autra giurnàda
“sta bedda giuv’ntù”
Z’rànn e f’rriànn,
z’rcava p’Ciazza ‘n Sinn’ch
valent e cingh d v’rtù…

Fulì, u ponu annè a z’rchè
Unna iè iè: o mont, o ciàngh
O mpuru nu palazz…………
A basta ch nan vanu o fumaràzz!

giovedì 3 maggio 2012

U Tre d' Maju - Pino Testa


Oggi è il 3 maggio, e per Piazza Armerina ed i Piazzesi, è un giorno di festa molto importante, la festa paesana, la festa della Madonna. Il 3 maggio di oggi è molto diverso da quello di alcuni decenni fa, oggi siam tutti chiusi tra le recinzioni delle nostre belle villette e campagne.
Ma prima non era così, si stava tutti insieme: "S'gnöri e no, tutti 'mp'rp't'gghiadi..."
Allora sono andato a tirar fuori un poesia in gallo-italico (l'antica lingua Piazzese), scritta da Pino Testa.
La comprensione del testo non è semplicissima, soprattutto per chi non è di Piazza Armerina (ancora meno per chi non è siciliano).
Ma questa è una poesia che parla al cuore fatalista, malinconico e romantico del Piazzese " 'ca rad'cada".

Buona lettura


S’ pènz au trè d’ maiu d’ na vota,
Na s’l’nziösa ddàrma p’cchiulia
Pr’ cösta festa sculurùa e morta,
d’ cödda età ch’ ormai nan è ciù mia.

Putèva avèr…na d’sgina d’anni;
I cauzi curti e ca sciaccazza ‘ncù,
senza i p’nzeri d’öra e i malanni
ch’fannu vègghi e cini d’ bubù.

Trivulu ‘ncasa e spass d’vanèdda,
festa nan ggh’era ch’nan era mia.
E ddà, ni fumarazzi, gadd’nèdda,
‘nfina ch’u sö st’nnèva a so pùdia.

Menzaöst, Natali, Carr’ver…
A Santa Pasqua, e dönca U Trè d’ Maju,
Festi ch’scavrninu nu p’nzer,
com a dd’picchch’ nan tröva u taiu.

Ma U Trè d’ Maju, pr’ mì era l’evènt
Ch’ m’ ncastràva tutta na giurnàda,
o ggh’era tèemp böngh o tèmp tènt,
nan ma p’rdeva mai sta scampagnàda.

Darrera du st’nnard da V’gnera,
cu m’caör o codd e u brannunett,
giava ‘nzemu aal’autri na priora
cu tutta a vösg ch’ggh’era nu mi pett.

Scaccià da födda e cua buzzetta cina
d’calia, d’lupini e m’nnulicchi
au sö d’maju, l’arma mia sc’ntina,
ggh’cunf’dava tutti i soi sv’rticchi.

Öra taliava a cörsa inta i sacchi,
cödda di scecchi cu l’öggi ‘ntuppadi…
a gioia ca st’gghiola e i barracchi
cini d’calia e pupi ‘nzuccaradi.

“Ma quant’ è bedda sta cauda calia!
T’ squagghia ‘mböcca…chi beu t’rröngh’…!
Pupi d’zzuch’r’…cosi d’vaglia”
Era M’nnedda, p’cöss, maströngh’!

U volu di baluni, i fiacculadi
e i tavuladi’nterra o nu bancöngh’.
Ch’tarri e m’nnuòi menzi scurdadi
T’cumpagnav’nu a sol’ta canzöngh’:

sciuri, sciuri…
sciuri di tuttu l’annu,
l’amuri ca mi dasti
ti lu tornu…

Caccaciuliddi, frosgi, övi bugghiui,
cavagli d’ ‘nzaladi, i saschi u vingh’…
brusgiul’tini chi sardi rustui
e rr’tt’venti cöiti a do mattingh’.

S’gnöri e no, tutti ‘mp’rp’ttghiadi,
garagghiuleddi cu sciallet a picch’…
carusgi schietti tutti ‘mpumatadi
ch’ scaluriav’nu cini d’lamich.

Festa nostrana, festa d’culöri;
p’ ‘ngiörn tutt’Ciazza era o ‘Ndrizz
unna scacciava i last’mi e i d’löri,
mannann tutt e tutti ad a gaddizz.

Quant’ r’gordi trivuli e sf’ziösi
Ch’ scritti sunu zzà, n’ cöst cör!
Ciù tèmp passa e ciù sunu d’siösi
Com a ddi zitti quann su n’amör.

E quann all’angiu sunava a vamarìa,
sf’rrà d’sonn, nan ggh’a fasgèva ciù,
‘nsurdina m’giungeva u grìa grìa
Du mastr a calia cu l’urt’m salù:

“Ma quant’ è bedda sta cauda calia!
T’ squagghia ‘mböcca…chi beu t’rröngh’…!
Pupi d’zzuch’r…cosi d’vaglia…
Dama ch’è l’urt’ma du caudaröngh’!”




Guida da te la tua canoa - Robert Baden Powell


Quando ero giovane c'era in voga una canzone popolare:
«Guida la tua canoa» con il ritornello»
«Non startene inerte, triste o adirato
Da solo tu devi guidar la tua canoa».
Questo era davvero un buon consiglio per la vita.
Nel disegno che ho fatto,
sei tu che stai spingendo con la pagaia la canoa,
non stai remando in una barca.
La differenza è che nel primo caso tu guardi dinnanzi a te,
e vai sempre avanti, mentre nel secondo non puoi guardare
dove vai e ti affidi al timone tenuto da altri e perciò
puoi cozzare contro qualche scoglio, prima di rendertene conto.
Molta gente tenta di remare attraverso la vita in questo modo.
Altri ancora preferiscono imbarcarsi passivamente,
veleggiando trasportati dal vento della fortuna o dalla corrente
del caso: è più facile che remare, ma egualmente pericoloso.
Preferisco uno che guardi innanzi a sé e sappia condurre
la sua canoa, cioè si apra da solo la propria strada.
Guida tu la tua canoa.

venerdì 20 aprile 2012

Ci vuole audacia. - Don Tonino Bello

Un'amica mi ha fatto leggere questo brano tratto dal libro "Ci vuole audacia" di don Tonino Bello, e non posso non pubblicarlo.
Scusate ma lo devo dire: un prete con le palle (e non solo per questo brano ovviamente).


Buona lettura.

Ci vuole audacia.
La Vita che state vivendo vivetela in modo denso. Poichè non tornerà più. 
E non abbiate paura di entusiasmarvi per le cose. Molti di voi hanno paura. Hanno paura che un giorno la Storia, il loro futuro possa ridacchiare sul loro presente. Molti hanno paura di esporsi. Per non correre il rischio di subire il contraccolpo di questa disunione tra i sogni di oggi e la realtà di domani, preferiscono non sognare. E questo significa dare le dimissioni dalla Vita.
Aver paura di entusiasmarsi oggi, alla vostra età, significa suicidio. Un giorno vi scalderete alla brace divampata nella vostra giovinezza. Non abbiate paura di entusiasmarvi.
C'è tantissima gente che mangia il pane bagnato col sudore della fronte dei sognatori. Ci sono tanti sognatori. Meno male che c'è questa dimensione del sogno nella vita: sporgenze utopiche a cui attaccarci. Meno male che ci sono dei pazzi da slegare, da mettere in circolazione perchè vadano a parlare di grandi utopie. Quello che è pericoloso, è che le grandi utopie si raffreddino nel cuore dei giovani. Io vi voglio augurare che non abbiate a perdere la dimensione della quotidianità e del sogno. Scavate sotto il vostro lettuccio e troverete il tesoro. Non siate inutili, siate irripetibili.

Oltre il ponte - Italo Calvino


O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d’aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all’età che tu hai ora.
Coprifuoco, la truppa tedesca
la città dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

Silenziosa suglia aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l’oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l’armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

Non è detto che fossimo santi
l’eroismo non è sovrumano
corri, abbassati, dai corri avanti!
ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l’avvenire di un giorno più umano
e più giusto più libero e lieto.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c’eri.
E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell’aurora.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

martedì 10 aprile 2012

Quello che deve essere detto - Günter Grass


Qualche giorno fa sulla Suddeutsche Zeitung, Repubblica ed El Pais è stata pubblicata questa poesia di Grass (premio Nobel 1999 per la letteratura), risultato: il governo dello stato d'Israele dichiara Grass "persona non gradita", cioè gli vieta l'ingresso nel paese.
Innanzitutto preferisco dire "il governo dello stato d'Israele dichiara", e non "lo stato d'Israele dichiara", perchè credo che per fortuna non tutti gli israeliani la pensino così, e che questo atto non rappresenti tutto il popolo d'Israele.
In secondo luogo, la pubblico perchè questa domanda me l'ero fatta pure io: ma perchè Israele fa tutto sto casino per una bomba atomica quando invece loro ne hanno a iosa?? Però mi sembrava una domanda stupida.
Lungi da me l'antisionismo, ma questa poesia non mi sembra certo si meriti la frase del ministro dell'interno israeliano Yishai: "Le poesie di Grass sono un tentativo di guidare il fuoco dell’odio contro Israele e il popolo israeliano e di promuovere le idee di cui era esponente quando indossava la divisa delle SS. Se Gunter vuole continuare a pubblicizzare le sue idee distorte e false, gli suggerisco di farlo in Iran, dove troverà un pubblico disponibile”. 
In realtà proprio questo atto di censura mi sembra molto "iraniano" (L'Iran non me ne voglia).
Grass all'età di quindici anni fece una scelta profondamente sbagliata, si arruolò nell'esercito e venne poi inserito nelle SS. Lo fece per andar via di casa, per lasciare la famiglia. Lui stesso lo dice e a questo si riferisce "la  macchia incancellabile" che leggerete di seguito.
La poesia (alla Brecht, direi) si oppone alla consegna da parte del governo tedesco allo stato d'Israele di un sesto sommergibile, in grado di poter lanciare missili con testata nucleare.
Forse ancora prima di leggere questa introduzione, avete già letto la poesia, avete fatto benissimo!!

Buona lettura.

Perché taccio, passo sotto silenzio troppo a lungo
quanto è palese e si è praticato
in giochi di guerra alla fine dei quali, da sopravvissuti,
noi siamo tutt´al più le note a margine.
E´ l´affermato diritto al decisivo attacco preventivo
che potrebbe cancellare il popolo iraniano
soggiogato da un fanfarone e spinto al giubilo organizzato,
perché nella sfera di sua competenza si presume
la costruzione di un´atomica.
E allora perché mi proibisco
di chiamare per nome l´altro paese,
in cui da anni – anche se coperto da segreto -
si dispone di un crescente potenziale nucleare,
però fuori controllo, perché inaccessibile
a qualsiasi ispezione?
Il silenzio di tutti su questo stato di cose,
a cui si è assoggettato il mio silenzio,
lo sento come opprimente menzogna
e inibizione che prospetta punizioni
appena non se ne tenga conto;
il verdetto «antisemitismo» è d´uso corrente.
Ora però, poiché dal mio paese,
di volta in volta toccato da crimini esclusivi
che non hanno paragone e costretto a giustificarsi,
di nuovo e per puri scopi commerciali, anche se
con lingua svelta la si dichiara «riparazione»,
dovrebbe essere consegnato a Israele
un altro sommergibile, la cui specialità
consiste nel poter dirigere annientanti testate là dove
l´esistenza di un´unica bomba atomica non è provata
ma vuol essere di forza probatoria come spauracchio,
dico quello che deve essere detto.
Perché ho taciuto finora?
Perché pensavo che la mia origine,
gravata da una macchia incancellabile,
impedisse di aspettarsi questo dato di fatto
come verità dichiarata dallo Stato d´Israele
al quale sono e voglio restare legato
Perché dico solo adesso,
da vecchio e con l´ultimo inchiostro:
La potenza nucleare di Israele minaccia
la così fragile pace mondiale?
Perché deve essere detto
quello che già domani potrebbe essere troppo tardi;
anche perché noi – come tedeschi con sufficienti colpe a carico -
potremmo diventare fornitori di un crimine
prevedibile, e nessuna delle solite scuse
cancellerebbe la nostra complicità.
E lo ammetto: non taccio più
perché dell´ipocrisia dell´Occidente
ne ho fin sopra i capelli; perché è auspicabile
che molti vogliano affrancarsi dal silenzio,
esortino alla rinuncia il promotore
del pericolo riconoscibile e
altrettanto insistano perché
un controllo libero e permanente
del potenziale atomico israeliano
e delle installazioni nucleari iraniane
sia consentito dai governi di entrambi i paesi
tramite un´istanza internazionale.
Solo così per tutti, israeliani e palestinesi,
e più ancora, per tutti gli uomini che vivono
ostilmente fianco a fianco in quella
regione occupata dalla follia ci sarà una via d´uscita,
e in fin dei conti anche per noi.