lunedì 17 novembre 2014

L’accordo sulle emissioni tra Usa e Cina è più retorico che storico - LIMES

Qualche giorno fa, durante il vertice APEC, USA e Cina hanno raggiunto un accordo sulla riduzione della CO2 (USA) e incremento energie rinnovabili (Cina). L'accordo è stato definito storico da alcuni, e Prodi lo ha definito "un'ottima speranza in vista del summit mondiale sull'ambiente che si terrà a Parigi nel 2015." (e su questo sono anche io d'accordo).
Riporto qui un articolo di Angelo Richiello apparso su Limes qualche giorno fa, dove si presenta un punto di vista diverso e meno, appunto, "retorico".

Buona lettura.

La "storica" promessa del presidente statunitense Barack Obama e del suo omologo cinese Xi Jinping di ridurre le emissioni di diossido di carbonio (Co2) entro i prossimi 15 anni sembra più retorica politica che impegno sostanziale alla riduzione del surriscaldamento del pianeta. Più precisamente, sembra un'ordinaria dichiarazione di politica industriale. 

Stati Uniti e Cina sono responsabili del 44% delle emissioni globali di gas serra, contro il 10% dell’Unione europea, il 7,1% dell’India e il 5,3% della Federazione russa. È evidente a chi segue le trasformazioni dell’industria energetica mondiale che il consumo di carbone per la produzione di energia elettrica, principale causa delle emissioni di gas serra, è negli Stati Uniti in forte declino a causa dell’abbondante disponibilità di gas naturale. Questo grazie anche alle nuove tecnologie di fratturazione idraulica che hanno reso economica l’estrazione di gas da scisti da profondità prima impensabili. 
È anche evidente la fine del ciclo ascendente dei prezzi petroliferi, che impone ai grandi gruppi la conversione dei complessi industriali per la raffinazione del petrolio in strutture per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Per sopravvivere, le compagnie dovranno diversificare le loro attività economiche. Molti paesi dell'Opec hanno fiutato l'incombenza almeno da un decennio.

Inoltre, tanti italiani si saranno accorti della pressione esercitata dai produttori di energia elettrica che - sotto forma di promozioni e offerte di risparmio - consigliano il blocco dei prezzi della bolletta, chiaro segnale di come il mercato elettrico evolverà. Dunque, la promessa di Barack Obama di ridurre le emissioni di gas serra del 26%-28% rispetto ai valori del 2005 altro non è se non una conseguenza dovuta a un epocale cambio di paradigma. Si tratta in realtà di una modesta proposta, dato che gli Stati Uniti si erano già impegnati a ridurre entro il 2020 le emissioni del 17% rispetto ai valori del 2005.

La Cina invece sa bene che il suo prodotto interno lordo non potrà svilupparsi all’infinito agli attuali tassi di crescita, da essa dichiarati dell’8-10% annuo. Con tutta probabilità avrà stimato che tale fase - legata principalmente all’urbanizzazione del paese - raggiungerà il picco nel 2025 per poi iniziare a calare intorno al 2035. Per questo il suo presidente ha prudentemente speso la data del 2030, entro la quale intende iniziare a incrementare la quota di energia elettrica prodotta da fonti non fossili per portarla attorno al 20% nel lontano 2030. 

Anche per Pechino si tratta di un miglioramento modesto, poiché si era già impegnata a portare tale percentuale al 15% nel 2020. Inoltre, la quota di fonti non fossili può essere innalzata solo con una produzione di energia elettrica da nucleare e rinnovabili pari a circa 800-1000 GW di potenza installata, ossia 6-8 volte la potenza massima erogabile dalle centrali italiane.

La Cina ha già sostenuto elevati investimenti per la costruzione di impianti nucleari di nuova generazione. Relativamente alle fonti rinnovabili, principalmente eolico e fotovoltaico, Pechino possiede già la più grande industria al mondo per la produzione di pannelli fotovoltaici e aerogeneratori. Concedere all’industria cinese altri 15 anni per inquinare più o meno liberamente significa peggiorare ulteriormente la salute dei suoi cittadini, aumentare le probabilità di perturbazioni meteorologiche estreme, accrescere l’insicurezza sulla qualità del cibo, aggravare lo stato della biodiversità. Dunque, non si tratta di un atto di responsabilità nei confronti degli abitanti del pianeta o di pragmatismo ecologista, quanto piuttosto dell’opportunistica conseguenza di un percorso di sviluppo economico già tracciato. Business as usual, potremmo dire.

La promessa di Obama e l’intenzione di Xi (di questo si tratta) sono state congiuntamente definite dai due capi di Stato come storiche, sebbene di storico ci sia poco o nulla. Il solo patto che ad oggi merita di essere ricordato nei libri di storia è il Protocollo di Kyoto:  per la prima volta più di 180 paesi, ossia quasi l’intero pianeta, si accordarono per una riduzione delle emissioni di gas serra nel periodo 2008-2013 in una misura non inferiore all'8% rispetto ai valori registrati nel 1990, considerato come anno base.

A questo epocale accordo si sottrassero proprio gli Usa e la Cina. I primi, inizialmente aderenti al trattato sotto l’amministrazione Clinton, ritirarono l’adesione appena dopo l’insediamento alla Casa Bianca di George W. Bush, dietro evidente richiesta delle compagnie petrolifere americane. La seconda, pur aderendovi, si svincolò dall’impegno definendosi paese in via di sviluppo, termine spesso usato a seconda della convenienza del momento.

La realizzabilità delle dichiarazioni dei due presidenti, da trasformare in impegni fattuali al prossimo vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici previsto a Parigi nel dicembre 2015, è incerta. Sul versante statunitense, la nuova maggioranza repubblicana ha minacciato battaglia al Congresso, definendo la promessa di Obama una bufala irrealistica che causerà solo l’aumento dei prezzi delle bollette e la perdita di posti di lavoro.

Dal lato cinese è ben noto che se le predisposizioni del governo centrale non sono in linea con le ambizioni di crescita economica della popolazione cinese, esse saranno ignorate dai governi provinciali. Forse volutamente, Obama e Xi hanno omesso di ricordare che i loro impegni non sono così ambiziosi come da loro stessi definiti, poiché l’Unione Europea soltanto un mese fa ha dichiarato una riduzione del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2030.

Gli scienziati parlano di obiettivi sino-americani insufficienti per impedire una situazione di irreversibilità ambientale del pianeta. L’Unione Europea, con le sue avanzate tecnologie per la produzione di energia verde, può essere la vera guida e promotrice di un pianeta più pulito.

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