lunedì 14 febbraio 2011

Tratto da "Il sergente nella neve" di Mario Rigoni Stern

L'episodio narrato è avvenuto (come tutto ciò che è narrato nel libro) durante la ritirata dell'esercito italiano dal fronte russo (gennaio-febbraio 1943). I soldato russi accerchiarono alcune divisioni che dovettero aprirsi la strada verso casa. Russi e italiani erano nemici, in teoria.

Sento che ho fame e il sole sta per tramontare. Attraverso lo steccato e una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d'occhio. Corro e busso alla porta di un'isba. Entro.
Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz'aria. - Mniè khocetsia iestj, [datemi da mangiare] - dico. Vi sono anche delle donne.
Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge.
Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C'è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. 
E d'ogni mia boccata. - Spaziba [grazie] - dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. - Pasausta [prego], - mi risponde con semplicità.
I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano d'ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni.
La donna mi dà il favo e io esco.
Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev'esserci stata tra gli uomini.
Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, nè alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano con me, lo sentivo. In quell'isba si era creta tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un'armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di più del rispetto che gli animali della foresta hanno l'uno per l'altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. 
Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finchè saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati.
I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, ad innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere.

2 commenti:

  1. fantastico! questo è esattamente lo spirito giusto di fratellanza, che il mondo maschile (ma anche femminile) dovrebbero recuperare, prima di finire tutti sterminati dall'ennesima guerra per sete di conquista!

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