venerdì 14 giugno 2013

Italia, Malta e Libia: prossimo contenzioso internazionale per trivellare il Mediterraneo?

Per la rubrica di politica energetica internazionale, oggi presento il possibile nuovo capitolo del tutt'altro che inedito triangolo Italia-Malta-Libia.
L'articolo è tratto da Qualenergia, firmato da Peppe Croce.

Buona lettura.

Italia, Malta e Libia in cerca dell'ultimo posto al sole rimasto da trivellare nel Mar Mediterraneo. Negli ultimi mesi è ripartita la corsa al petrolio e al gas naturale da estrarre offshore nel Canale di Sicilia, di fronte le coste siciliane e maltesi. E questa corsa potrebbe portare a un contenzioso internazionale dal sapore ottocentesco.

Il 27 dicembre 2012 il già dimissionario ministro italiano per lo Sviluppo economico Corrado Passera firma un decreto ministeriale con il quale allarga a dismisura la piattaforma continentale italiana creando da zero la “Zona marina C – Settore sud”. Un'area marina enorme, grande quanto due terzi della Sicilia, che si sovrappone ad alcune aree già rivendicate da Malta.

L'isola dei Cavalieri, infatti, già a dicembre 2007 aveva stretto un accordo di production sharing con Heritage Oil plc, società indipendente con sede fiscale a Londra guidata dal sessantunenne Tony Buckingham. Un uomo che, per ammissione della stessa Heritage, prima di darsi al petrolio era in Executive Outcomes e poi in Sandlines International, entrambe compagnie militari private che hanno fatto affari con i Governi di Angola e Sierra Leone. Per il secondo hanno anche violato l'embargo sulla vendita di armi imposto dalle Nazioni Unite (fonte: The Guardian). Ma, tiene a precisare l'azienda, dal 2000 Buckingham non ha più alcun rapporto con i suoi ex colleghi d'armi.

Le aree concesse da Malta a Heritage Oil sono la 2 e la 7 e, adesso, fanno parte anche della nuova zona marina italiana. Ma non solo: nell'area 2 ricade anche il “Medina Bank 1”, un pozzo petrolifero trivellato nel 1980 dall'americana Texaco dopo aver ricevuto l'autorizzazione dal Governo maltese. Texaco non riuscì a trovare idrocarburi, ma scatenò lo stesso una controversia internazionale tra Malta e Libia che non è ancora ufficialmente chiusa.

Ai primi di dicembre 2012 l'allora primo ministro maltese, Lawrence Gonzi, si è recato in visita a Tripoli per discutere con l'omonimo libico Ali Zeidan delle zone marine contese: la 2 e la 7. Come riporta il Malta Independent non c'è stato alcun accordo perché, con dopo la caduta di Gheddafi, Malta ha sequestrato tutti i beni e i conti bancari che il colonnello aveva nell'isola e non ha intenzione di restituirli.

Precedentemente, nel 2008, la Libia aveva intimato con lettera formale a Heritage Oil di non dare inizio ad alcuna attività nelle aree contese. E ora arrivano anche gli italiani che, con la nuova zona marina, si vogliono prendere tutta l'area 2 e gran parte delle aree 1, 3 e 7.

I dubbi sul decreto ministeriale di Passera che ci fanno entrare a gamba tesa in questa contesa internazionale sono molteplici. E non solo quelli giuridici, ma anche quelli sulla semplice opportunità di rivendicare uno specchio di mare che Malta ha dichiarato proprio da oltre cinque anni e che anche la Libia in parte rivendica. E di farlo, soprattutto, proprio quando i colloqui tra Italia e Malta erano appena ricominciati dopo mesi di netta opposizione del nostro paese.

Il 27 settembre 2012, infatti, a Roma si è svolto il primo tavolo tecnico Italia-Malta che ha dato il via a un "informal preliminary scoping exercise, without prejudice of sovereign rights". Cioè al percorso diplomatico per arrivare ad un accordo preliminare sulla spartizione di quel tratto di mare conteso. Una seconda riunione si è tenuta a La Valletta il 10 dicembre 2012. Il 27 dello stesso mese, ad una settimana esatta dalla concessione della VIA all'elettrodotto che collegherà la Sicilia a Malta con enormi vantaggi soprattutto per quest'ultima (Qualenergia.it), il ministro Passera firma il decreto con cui l'Italia “cresce” nel Mediterraneo.

Per quale motivo, allora, rivendicare per decreto un'area sulla quale si sta già trattando con un altro Stato? “Si è deciso di riprendere questi tavoli per decidere quali sono gli interessi comuni da approfondire – ci spiega il capo della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico, Franco Terlizzese - In questi tavoli ci siamo trovati in una situazione sbilanciata, perché Malta ha aperto unilateralmente delle aree sulle quali l'Italia rivendica la propria sovranità forte anche del diritto consuetudinario internazionale”.

Secondo Terlizzese, che nega però che l'Italia abbia rivendicato aree già contese dalla Libia, è vero che si tratta di una mossa unilaterale del nostro paese. Ma sarebbe una mossa di risposta alla fuga in avanti fatta da Malta del dicembre 2007. Di fatto ciò ci espone al rischio del contenzioso internazionale, che Terlizzese prevede favorevole per l'Italia: “È stata la mossa di Malta, di aprire unilateralmente diverse aree, a creare il rischio contenzioso. L'Italia ha recepito l'intenzione maltese di andare a vedere cosa c'è sotto queste aree: senza l'allargamento della zona marina C non avremmo potuto sederci al tavolo tecnico”.

Nel diritto internazionale vige il principio della buona fede: se c'è un accordo e uno dei due Stati lo viola allora è in torto. Ma, spiega ancora il DG Energia del MiSE, l'accordo non c'era ancora. Anzi, a dirla tutta non ci sono neanche verbali delle due riunioni del tavolo tecnico: “Stiamo discutendo in via informale, per vedere se possiamo fare esplorazioni comuni”.

Tuttavia l'Italia ha già messo le mani avanti, dichiarando apertamente le proprie intenzioni: il 28 febbraio 2013, quindi dopo i due tavoli tecnici e dopo l'emanazione del decreto Passera, il Ministero dello Sviluppo Economico pubblica un supplemento al Bollettino Ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse intitolato "Il mare" (pdf).

Nell'introduzione del documento il MiSE afferma chiaramente: “Lo stato costiero esercita sulla piattaforma continentale diritti sovrani allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali, nessun altro può intraprendere tali attività senza il suo espresso consenso. Per risorse naturali si intendono le risorse minerali e altre risorse non viventi del fondo marino e del sottosuolo”.

Quindi il petrolio già rivendicato da Malta, e dalla Libia, è “nostro” e l'Italia non ha intenzione di concederlo a nessuno. E Terlizzese conferma: “Certo, nel diritto internazionale tutti gli Stati decidono unilateralmente, di solito in seguito ad accordi con gli Stati limitrofi. In questo caso non c'è l'accordo perché Malta ha deciso che parte di quelle acque è di sua competenza. Una situazione di contenzioso relativamente comune in molte aree geografiche”.

Tuttavia la stampa internazionale di settore non si è ancora accorta delle ferme intenzioni italiane: il quotidiano online RigZone il 30 maggio canta le lodi del potenziale offshore di Malta, e descrive i tanti interessi già manifestati dalle compagnie petrolifere, senza però citare minimamente né i due tavoli tecnici né la nuova “Zona marina C – Settore sud”. Ma riporta le recenti dichiarazioni di Heritage sul “potenziale inesplorato” del suo portafoglio maltese.

La stessa Heritage, nel suo Interim Management Statement, pubblicato il 16 maggio 2013, non parla della disputa tra Italia e Malta, ma dovrebbe, come conferma Terlizzese, che sui probabili futuri contenziosi con le compagnie già titolari di licenze maltesi afferma: “Queste società erano pienamente consapevoli, come lo sono le tante altre aziende che hanno manifestato interesse per quelle aree”. E di aziende che hanno manifestato interesse ce ne sarebbero parecchie.

Uscendo dalle questioni internazionali e venendo a quelle nazionali la situazione non è meno problematica. È vero che le zone marine della piattaforma continentale sono state istituite con la Legge 21 luglio 1967, n. 613, e che possono essere ampliate per decreto dal ministro dello Sviluppo economico (secondo l'articolo 3, comma 2, del Decreto Legislativo 625 del 1996), ma è anche vero che Corrado Passera al momento della firma doveva solo gestire l'ordinaria amminstrazione.

Mario Monti è salito al Quirinale per le dimissioni il 6 dicembre e il suo Governo è rimasto in carica per l'ordinaria amministrazione fino all'insediamento di Letta. Ma si può considerare l'allargamento del mare nazionale ordinaria amministrazione? È ordinaria amministrazione emanare un decreto sapendo che ci esporrà a un contenzioso internazionale?

Come finirà questa faccenda non lo sa neanche il Direttore Generale Terlizzese: “È cambiato il Governo italiano, è cambiato il Governo maltese, ci risiederemo al tavolo e vedremo”.

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