venerdì 28 giugno 2013

Meno "rifiuti" a Roma!!

Come qualcuno saprà, in questi mesi ho frequentato un Master in Gestione delle Risorse Energetiche, e questo che segue è l'articolo che riassume il lavoro svolto dal nostro gruppo “Waste to Energy". 
Gli autori, in ordine alfabetico, sono:

Marco Campagna, Rachele Caracciolo, Luigi De Roma, Francesco Grasselli, Chiara Iobbi, Gianluca Pica.

Ogni domanda e curiosità è più che bene accetta!!
Buona lettura.

Rifiuti solidi urbani (RSU) di Roma: tanti, troppi. Che farne? È possibile sviluppare un sistema di gestione in grado di risolvere la situazione di emergenza? È questa la domanda alla quale abbiamo cercato di dare una risposta nel project work presentato il 14 giugno scorso alla Sala Capitolare della Biblioteca del Senato della Repubblica.
Per capire come poter risolvere il problema, siamo partiti dalla normativa che in Europa fa capo alla direttiva 2008/98/CE. Emanata per istituire la cosiddetta “Gerarchia dei rifiuti”, prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero energetico e solo in ultimo smaltimento, è atta a rompere la correlazione fra la crescita di popolazione e di rifiuti, non più sostenibile a livello mondiale. L’Italia, benché abbia recepito per prima la direttiva, introducendo anche criteri nazionali di “End of Waste” per la cessazione di qualifica di rifiuto, e benché abbia flussi di RSU pro capite annui in linea con la media comunitaria (500 kg l'anno), destina ancora alla discarica quasi il 50% dei RSU; mentre Stati membri con flussi molto maggiori hanno quasi azzerato le discariche grazie alle sinergie fra riciclaggio ed incenerimento, che in Italia rimangono ben lontani dagli obiettivi comunitari con percentuali rispettivamente del 34% ed del 15%. Quali sono, dunque, le ragioni di debolezza del sistema di gestione italiano, e che cosa si potrebbe fare per migliorarlo?
Guardando anzitutto al contributo delle imposte e delle tariffe, è evidente, nell’analisi cross country della Commissione europea, la diretta correlazione fra i costi totali di gestione [1] e la percentuale di riciclaggio. Come si evince dal grafico, l'Italia associa ad un costo totale di circa 130€, una percentuale di riciclaggio compatibile con la tendenza degli altri Stati membri. Ma guardando ad Austria e Germania sorge il dubbio se non si possa fare di meglio: i loro valori di riciclaggio, superiori alla tendenza comunitaria, sembrano dovuti all'implemento di una serie di divieti al conferimento in discarica, i quali, pur presenti anche in Italia, incontrano difficoltà nell'applicazione. A ciò si aggiungono i forti squilibri fra regioni e lo scarso ricorso al recupero energetico dei rifiuti.
Quest’ultimo risulta invece una leva fondamentale per la gestione dei rifiuti in Germania (con struttura industriale simile a quella italiana) anche grazie all'impiego dei CSS[2], che produce in quantità sei volte maggiori rispetto all’Italia. Inoltre in Italia il CSS è destinato in modo preponderante all’incenerimento ed in maniera ridotta al coincenerimento. Quest'ultimo, infatti, si limita ai cementifici, con una sostituzione termica media dell’8%, mentre nelle centrali termoelettriche è pressoché nullo: ad oggi l'unico caso è la centrale di Fusina con 50.000 t l'anno. Al momento, dunque, l’Italia non sfrutta tutti i vantaggi che il CSS potrebbe darle dal punto di vista sia economico che ambientale: risparmio di combustibili fossili, dovuto al coincenerimento nei forni industriali, ed aumento dei materiali recuperati, dovuto al necessario pretrattamento che ne ridurrebbe lo smaltimento.
La domanda che ci siamo posti è dunque la seguente: può il CSS contribuire a risolvere l'impasse gestionale verificatosi di recente nel Lazio? Questa regione, con circa 2,5 Mt l'anno, è al primo posto in Italia per smaltimento di RSU. Di questi, circa il 70% (1,8 Mt) è prodotto a Roma, dove ad oggi la RD copre solo il 26%, mentre ben 1,1 Mt, in deroga al DM 25/03/2013 che ne imponeva la chiusura, vanno nella “famigerata” discarica di Malagrotta (al costo di 72 €/t, tra i più bassi d’Italia). Alla luce di quanto detto è evidente che la soluzione all'emergenza del Lazio passa per Roma. Con tale decreto un primo risultato è stato raggiunto con l’azzeramento dello smaltimento di RSU tal quali in discarica poiché vengono pre-trattati nei 4 impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB), sfruttati al massimo delle loro potenzialità, del comune ma si ricorre comunque per un 22% ad impianti di altre province. La legge regionale però impone l’autosufficienza degli ATO (Ambito Territoriale Ottimale). Quindi che altro si può fare?

Dai dati tecnici degli impianti presenti nel territorio comunale abbiamo ricavato differenti scenari per calcolare, fra le varie combinazioni di metodi di gestione realmente attuabili, la più adatta a raggiungere l'autosufficienza nella gestione dei RSU. Inoltre a completamento dell’analisi ambientale ed economica, per ogni scenario, abbiamo calcolato  i risparmi sulle emissioni di CO2 e sui costi di gestione. Il calcolo delle emissioni di CO2 considera il minor ricorso ai combustibili fossili, all’incenerimento ed allo smaltimento, al netto della CO2 derivante dalla produzione e combustione del CSS. I risparmi annui considerano i costi di smaltimento e di incenerimento, al netto dei nuovi costi per la produzione del CSS, per l'incentivo al coincenerimento e per l’aumento della RD.

In un primo scenario, definito “on the road”, ipotizziamo un aumento della RD fino al 35% riducendo così del 9% la dipendenza dagli impianti TMB fuori Roma. Consideriamo inoltre un impiego di CSS nei cementifici, con una sostituzione termica del 10% e nelle centrali termoelettriche per 35.000 t annue; la restante parte di CSS andrebbe a recupero energetico in inceneritori. Con queste misure si ridurrebbe di ben il 72% lo smaltimento attuale, riducendo inoltre la CO2 di 0,6 Mt e risparmiando 20 M€.

Il secondo scenario analizzato, definito “target”, ipotizza la RD al 49% ed il coincenerimento di CSS al 30% di sostituzione termica nei cementifici e 70.000 t annue nelle centrali termoelettriche. Con questi presupposti, si avrebbe un’ulteriore riduzione del 53% dello smaltimento, che ammonterebbe così a sole 130.000 t annue. La riduzione di CO2 sarebbe di 1 Mt mentre i risparmi scenderebbero a 10 M € per gli effetti congiunti sui costi considerati.

Il terzo ed ultimo scenario, detto “senza CSS”, permette di apprezzare il contributo di incenerimento e coincenerimento: mantenendo la RD al 49% (come nello scenario “target”) ma eliminando totalmente il ricorso a qualsiasi tipo di recupero energetico, abbiamo ottenuto l'eloquente risultato che lo smaltimento, rispetto allo scenario “target”, aumenterebbe del 300%, la CO2 evitata sarebbe solo 0,8 Mt ed i risparmi ammonterebbero a solo 5 M €.

Alla luce dell'analisi svolta, è evidente che la soluzione per Roma passa anzitutto per l'aumento della RD riducendo i gradini inferiori della gerarchia, in ossequio alla direttiva 2008/98/CE; questa sarebbe una misura in sé sufficiente a garantire il raggiungimento dell'autonomia provinciale, anche se abbiamo ritenuto che concentrarsi sul territorio comunale fosse più adatto ad accelerare le decisioni e quindi la fattibilità delle soluzioni proposte. Tuttavia, ciò che rende lo scenario “target” preferibile è proprio il ritorno dei RSU non differenziabili al circuito delle risorse in forma di CSS, che darebbe i maggiori benefici sotto il punto di vista ambientale ed economico.



[1]               Somma di tariffe ed imposte sullo smaltimento o l'incenerimento, le prime applicate dal gestore dell'impianto per coprire i costi, le seconde dall'amministrazione competente per scoraggiare tali forme di gestione.
[2]               Combustibile solido secondario, prodotto da rifiuti urbani e speciali non pericolosi, utilizzato nell'incenerimento e nel coincenerimento: è End of Waste se ricade in determinate classi secondo il potere calorifico inferiore, il contenuto di cloro ed il contenuto di mercurio).


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