giovedì 6 giugno 2013

Sulla Turchia soffia il fuoco della Siria

Come qualcuno dei miei lettori saprà, ho vissuto ad Istanbul per 5 mesi: per questo sento in maniera piuttosto vicina quello che sta succedendo in questi giorni proprio in quella città (ma non solo).
Propongo a riguardo una interessante intervista rilasciata da Franesca Maria Corrao a Giulia Balardelli (Huffington Post).

Buona lettura

"Il popolo turco è un popolo maturo, emancipato, abituato alla laicità da oltre un secolo. È comprensibile che si ribelli di fronte a un irrigidimento della libertà d'espressione. Il vero problema è un altro: la Turchia sta diventando sempre più incandescente perché assorbe tutta la tensione della crisi siriana. Se non si trova presto una soluzione, il caos travolgerà non solo la Turchia, ma tutta l'Europa, a cominciare dall'Italia. E allora sì che dovremo accorgercene per forza".

Non è certo rassicurante la lettura che delle proteste turche dà Francesca Maria Corrao, professoressa ordinaria di Lingua e Cultura Araba presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università LUISS di Roma, esperta di storia e cultura dei paesi arabi.

Secondo Corrao, la rabbia dei manifestanti affonda sì le sue radici negli ultimi provvedimenti adottati dal governo Erdogan, ma è anche un sintomo della paura e delle tensioni per il conflitto in Siria. La stessa rigidità del premier turco (che in altre occasioni "ha dimostrato buon senso") e l'eccesso di violenza da parte della polizia ("scene da G8 di Genova", commenta), sono per Corrao altrettante spie dell'incessante sgretolarsi di uno status quo che non è più sostenibile.

Cosa sta succedendo in Turchia? Gli scontri degli ultimi giorni l'hanno sorpresa oppure erano ampiamente prevedibili?

Non è una sorpresa. Parte della popolazione turca è stanca di vedere restringersi il campo delle libertà individuali. Già il primo maggio c'erano state forti proteste, e anche in quel caso la reazione della polizia era stata molto dura. Per i giovani di Istanbul, il parco Gezi è un simbolo, il polmone verde della città. Ho vissuto per un anno a Istanbul e so di cosa parlo. È come se ai romani venisse imposto di rinunciare a Villa Borghese. È chiaro che si arrabbierebbero, scenderebbero in strada anche le signore ingioiellate, altro che giovani di Occupy. E tutto perché? Per costruire - poniamo - una nuova moschea e un centro commerciale per soddisfare le richieste di sviluppo commerciale in linea con la politica del Qatar...

La difesa del parco, però, è stata "soltanto" una miccia... Quali sono i provvedimenti che proprio non vanno giù ai laici?

Le donne, in particolare, sono indignate per il discorso della pillola del giorno dopo (prima si prendeva senza ricetta, ora è stata vietata). Poi c'è la nuova legge sull'alcol che proibisce il consumo di bevande alcoliche in pubblico e la vendita entro 100 metri da scuole e moschee. Senza dimenticare la censura, sia politica che culturale. Molti professori hanno incontrato ostacoli nell'insegnamento, sono stati allontanati o comunque gli è stato impedito di svolgere liberamente la loro attività. Per non parlare dei giornalisti (secondo il Committee to Protect Journalists, in Turchia sono in carcere più giornalisti che in Cina e in Iran, ndr). Diciamo che negli ultimi anni ci sono stati pesanti segnali di irrigidimento.

Cosa chiedono i giovani della Turchia? Quali sono le loro speranze? Quali le loro paure?

Vogliono che la cultura laica del Paese venga rispettata, chiedono garanzie di libertà e buon senso. Molti di questi ragazzi sono disperati: da un lato si vedono scappare quegli aspetti della democrazia che avevano conquistato; dall'altro hanno paura, sentono addosso tutta la tensione del confine con la Siria. L'applicazione di alcune norme restrittive - seppur rispettose di una parte musulmana della popolazione - rischia di far saltare il coperchio.

Cosa dobbiamo aspettarci dal governo turco in questo momento?

È difficile dirlo. Il Paese sta affrontando un importante momento di trasformazione. Non dobbiamo dimenticare che la pacificazione con i curdi rappresenta un passaggio fondamentale, oltre che una prova di maturità da parte del governo. Erdogan è alle prese con pressioni esterne sempre più forti. Da un lato il Qatar, con le sue esigenze di sviluppo economico ai danni dell'ambiente; dall'altro la crisi siriana che è un vero e proprio buco nero. Di sicuro reprimere il dissenso in modo così violento non fa altro che acuire la rabbia della popolazione. Ed è un rischio che non solo la Turchia, ma tutta l'Europa non si può permettere...

Quale potrebbe essere il contributo dell'Europa - e dell'Italia in particolare - in questo momento?

Spingere sulla strada del dialogo per mettere fine alla guerra civile in Siria. I modi ci sono, ma serve una volontà incrollabile da parte di tutti. L'Italia, con il ministro Bonino, si sta muovendo nella direzione giusta. Dobbiamo capire una volta per tutte che la crisi siriana è un problema che ci tocca direttamente, non solo in termini di diritti umani, ma anche di immigrazione, sicurezza, gasdotti e via dicendo. Se la situazione in Siria diventa ingestibile, gli effetti dalla Turchia si ripercuoteranno su tutta l'Europa. Potremmo ritrovarci di fronte a una terza guerra mondiale così, senza neanche rendercene conto...

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