martedì 15 maggio 2012

L'omelia di Sagunto contro i mafiosi - Card. Pappalardo


Leggendo un libro, ho saputo della famosa "Omelia di Sagunto" pronunciata dal Cardinale Pappalardo il 4 settembre 1982, al funerale del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di sua moglie Emmanuela Setti Carraro. Uccisi dalla mafia.
La domenica successiva, la messa che Pappalrdo celebrava all'Ucciardone, fu disertata da tutti i detenuti.

Buona lettura.


Non è facile per me, pastore di questa Chiesa, dire, e per voi, alte autorità dello Stato, del parlamento e del governo – alla significativa presenza del signor presidente della Repubblica e di tutto questo popolo – ascoltare quanto la tristissima cir­costanza in cui ci troviamo comporta che si dica e che si ascolti.
Ancora un delitto, come se i tanti che si sono succeduti non bastassero, un delitto che ha colpito a morte un perso­naggio qualificatissimo, non solo nella nostra città ma in tutta la nazione, ricolmo di riconosciuti meriti per i molteplici servizi resi alla società italiana: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, uccidendone anche la gio­vane consorte e ferendo gravissimamente l’agente di scorta: vittime tutte dell’adempimento del loro dovere.
Che dire? Mi pare che altro non possiamo se non ripetere e fare nostro il brano del libro delle Lamentazioni del profeta Geremia che abbiamo letto: Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… la continua espe­rienza del nostro incerto vagare, in alto e in basso… del nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno… (cfr. Lam., 3, 17-19). Subiamo tutti la stessa pericolosa tentazione del Profeta medesimo: che il nostro spirito si deprima e si accasci dentro di noi!
Dinanzi al ripetersi di tanti delitti, e così efferati, in tutto il suolo della nostra Italia, ed in alcune regioni in modo parti­colare, dobbiamo prendere sempre più coscienza, ognuno per la parte e per la responsabilità che lo riguarda, di quanto presenti, forti e tracotanti siano le forze del male che operano nella nostra società, per tutelare e difendere i loschi interessi di potenti fazioni, variamente denominate, terrorismo, ca­morra, mafia… che possono permettersi di affrontare aperta­mente lo Stato, offendere ed umiliare le sue istituzioni, col­pire i suoi uomini migliori.
Forze del male che non sono realtà astratte… non fantastici organismi ma persone vive e reali, possedute internamente dal Demone dell’odio, quasi incarnazione di quel Satana, nemico di Dio e dell’uomo, che nella Scrittura è detto «Omi­cida fin dall’inizio» (Gv., 8, 44) ed ispiratore di tutti gli omi­cidi che si sono effettuati sulla faccia della terra, da quel primo di Caino sino ai tanti dei nostri giorni. «Chi non ama» ci ha ricordato l’Apostolo Giovanni (Gv., 3, 44) «rimane nella morte» e diventa operatore di morte sulla faccia della terra, destinato anche lui alla morte eterna se, rigettato l’odio, non ritorna al culto dell’amore cristiano dei fratelli e al rispetto per la vita.
Si sta sviluppando invece – e ne siamo costernati spettatori – tutta una catena di violenze e di vendette tanto più impor­tanti perché, mentre così lente ed incerte appaiono le mosse e le decisioni di chi deve provvedere alla sicurezza e al bene di tutti – siano privati cittadini che funzionari ed autorità dello Stato – quanto mai decise, tempestive e scattanti sono le azioni di chi ha mente, volontà e braccio pronti per colpire… Sovviene e si può applicare una nota frase della letteratura latina, di Sallustio, mi pare: «Dum Romae consulitur … Saguntum expugnatur», mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici! E questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera Palermo!
È morto il prefetto Dalla Chiesa, è morta con lui la sua giovane consorte, a lui recentemente unitasi più per condivi­dere l’atroce immediata fine che non per passare insieme tranquilli anni di vita; è anche questo un aspetto che mostra la spietatezza, la durezza di cuore di chi ha deciso e di chi ha agito: insensibilità e durezza che potrebbero passare anche in una opinione pubblica talmente assuefatta a sì atroci delitti, da non più reagire col raccapriccio per l’accaduto e con la dovuta pietà nei riguardi delle vittime e dei loro sconsolati parenti!
Ma io vorrei che tutti, a cominciare dalla venerata mamma del generale, dai figli, dai fratelli, da tutti gli altri congiunti: anche della gentile signora, fossimo capaci di formulare in questo drammatico momento un grande, anche se difficile e sofferto atto di fede, sempre riferendoci alle parole del pro­feta Geremia che abbiamo prima ascoltato: «le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassio­ne, ma sono rinnovate ogni giorno… grande è la sua Fedeltà…, buono è il Signore con chi spera in lui… con l’anima che lo cerca… È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore…» (cfr. Lam., 3, 22-26).
Ecco il grande silenzio della morte… Ecco anche la grande nostra intima e silenziosa attesa della fede… capaci tutti di ripetere al Signore, anche se con l’ultimo straziante grido di chi muore su una croce: Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno… ed aspettare la sua immancabile risposta, quella che noi auspichiamo sia stata già riservata agli spiriti eletti del fratello nella fede Carlo Alberto e della sorella Emmanuela: «oggi sarete con me nel Paradiso» (Lc, 23, 42).

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